Roma Ecco a voi il nuovo «patto della crostata», destinato a costruire nuovi equilibri di potere economico e anche a prefigurare futuri assetti politici. Il patto della crostata passato alla storia fu siglato in casa Letta nel ’97 da Berlusconi, Fini, D’Alema e Marini. Dei commensali di allora al nuovo tavolo ne resta uno solo, l’ex premier Ds. I nuovi interlocutori si chiamano Gianni Alemanno, Pierferdinando Casini e il di lui suocero Francesco Gaetano Caltagirone, costruttore romano, editore e finanziere di prima grandezza. O almeno, così la raccontava ieri Repubblica, in un pungente editorialino nascosto nelle pagine romane ma firmato dal vicedirettore Massimo Giannini, in cui si evocano addirittura le «prove tecniche di una futura maggioranza di salute pubblica post-berlusconiana». Orchestrate dal solito D’Alema.
La ricostruzione di Repubblica può essere forzata ma quel che è certo è che D’Alema, dopo la sconfitta in Campidoglio e la fuoriuscita di Veltroni, vuol ricominciare dalla Capitale e dai suoi salotti buoni ad essere protagonista nel Pd e nei «poteri forti» evocati da Giannini. A costo di litigare con De Benedetti.
Tutto comincia da Acea, l’azienda romana che gestisce elettricità e acqua: un gigante da tre miliardi di ricavi e 200 milioni di utili che ha come socio di maggioranza il Comune. E come socio al 7,5% Caltagirone, cui fanno riferimento sia il presidente Cremonesi che l’ad Staderini, già Cda Rai in quota Casini. Poi c’è il 10% detenuto dai francesi di Suez-GdF. Il sindaco di Roma ha cooptato nel CdA Acea un rappresentate dell’opposizione: Andrea Peruzy. Che oltre a vantare incarichi in molti prestigiosi Cda (da Alenia al Poligrafico a Crédit Agricole, azionista di Suez) è anche tesoriere della Fondazione ItalianiEuropei. Un dalemiano doc, insomma, su una poltrona che volevano gli ex Ppi; una nomina che ha scatenato le ire del Pd veltronian-franceschiniano. Le reazioni sono durissime, la prima vittima predestinata è il capogruppo Pd in Campidoglio, il dalemiano Marroni ribattezzato «il delegato del sindaco per i rapporti con l’opposizione» che dopo le europee dovrà probabilmente dimettersi. Dice il senatore ex Ppi D’Alfonso: «D’Alema ha interpretato la lenta “digestione” della sconfitta al Campidoglio come una paralisi irreversibile della classe politica romana Pd. E ha pensato di inserirsi come una sorta di commissario, mettendo le sue bandierine nelle stanze del potere. Una protervia incredibile, ma il blitz Acea è destinato ad essere annullato, e evoca inciuci con Alemanno per favorire Caltagirone».
«Caltagirone non c’entra nulla. È una grande operazione politica, trattata direttamente con Alemanno. Ci siamo infilati nella totale confusione che regna nel Pd e abbiamo proposto al sindaco un uomo col curriculum di Peruzy» spiegano in casa dalemiana. Lo scopo? «De-veltronizzare Roma» spodestando la rete rutellian-veltroniana.
Che Caltagirone non c’entri nulla è da dimostrare: con D’Alema, il suocero di Casini (peraltro azionista del dalemiano MontePaschi) ha ottimi rapporti e solo qualche settimana fa i due si sono appartati per un amichevole colloquio durante un pranzo in campagna. E in Acea il costruttore ha solidi interessi, destinati a espandersi. Uno dei motivi, spiegano i dalemiani, per cui De Benedetti ce l’ha tanto col «patto della crostata» siglato da D’Alema: anche l’Ingegnere, socio di Suez in Tirreno Power, avrebbe interesse al business Acea. E il feeling tra D’Alema e Alemanno, che secondo Repubblica ha fatto di Caltagirone «il dominus assoluto» di Roma, non gli piace.
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