Mi chiamo Carlotta, sono una ragazza di 16 anni e, dal momento in cui la malattia è penetrata con prepotenza ed impetuosità dentro di me, la mia esistenza risulta completamente travolta da un turbine incessante che sconvolge l’animo e tramuta la visione stessa della vita.
L’anoressia ha oscurato ai miei occhi il sole, caldo e luminoso, la primavera, i fiori, i colori, la luna che culla la notte. È riuscita a neutralizzare il delicato profumo della felicità, ha soffocato il respiro e, per di più, ha dolorosamente ridotto l’immenso universo della magia e dell’incanto che ognuno di noi, lungo il proprio cammino, ha il diritto d’incontrare e d’assaporare con serenità.
Quotidianamente, pertanto, mi vedo costretta a lottare contro questo male angosciante ed ossessivo, utilizzando tutte le forze e le energie di cui dispongo e tenendo sempre viva la speranza, che nei periodi dolorosi simboleggia l’unica via di fuga, che concretizza «l’uscita d’emergenza» dallo strazio e dalla disperazione. Purtroppo la situazione diviene ancor più complessa dal momento che la maggior parte delle persone non comprende la malattia, addirittura giunge a non considerarla nemmeno tale.
Si limita ad osservare il cibo avanzato nel piatto, la cifra che compare sulla bilancia vertiginosamente inferiore al giusto peso, la magrezza quasi impressionante delle gambe o la spaventosa circonferenza di braccia e polsi.Si ferma all'esteriorità, all'apparenza. Osa inoltre affermare che sia un semplice capriccio, una moda.
Ultimamente, ripensando alla pubblicità di O. Toscani definita choc, mi sono posta più volte una domanda: mi chiedo infatti come faccia la gente a non vedere negli occhi di quella ragazza il dolore e la sofferenza, a non notare lo sguardo spento e smarrito che rattrista il suo volto.
Non mi capacito di come si possano pronunciare frasi del tipo «CHE SCHIFO!» piuttosto che «MA NON SI VEDE CHE FA PAURA?».
A mio parere, gli individui così avventati nel dare simili giudizi e nel girar le spalle dovrebbero al contrario fermarsi e volgere lo sguardo proprio alla ragazza, per poter cogliere i veri rischi di questa seria e delicata malattia.
Voglio darvi un consiglio, spetta a voi renderlo immenso e prezioso. Richiede uno sforzo notevole, ciò nonostante vi invito a provarci. Eliminate per un attimo i pregiudizi, osservate l'immagine attentamente, immedesimatevi nella giovane ventiseienne o, meglio ancora, in una persona anoressica. Intorno a voi non c'è luce. Qualcuno l’ha spenta. Voi sapete chi è il responsabile, tentate di spiegargli che è un elemento importante ma... niente. L’interruttore non scatta e l’oscurità continua a circondarvi. Il pavimento sembra d’acciaio, un acciaio freddo, ghiacciato, state male. Tremate... vorreste fuggire. Il gelo corre rapido sino all’anima. Vi manca il calore? Non è piacevole quel nero e quel grigio che avete attorno... Vero? Provate ad esporre il vostro problema a qualcuno, gli chiedete una coperta ma vi viene negata. Gridate «AIUTO...». Nessuna risposta.
Il vostro cuore percepisce l’eco e piange per il vuoto. Le lacrime, scendendo ininterrotte, creano profondi solchi, ferite che bruciano ma - sfortunatamente - sono interne, nessuno le vede e nemmeno voi potete curarle. Quanta pena, non vi pare? Il silenzio e la solitudine sono terribili. Vi domandate: «Perché nessuno vuole aiutarmi? È così complicato vedere che soffro?».
Probabilmente vi sta sorgendo una dubbio (almeno spero). «Chissà come si vivrebbe male, quant’angoscia si proverebbe in un mondo così cupo...».
Sarebbe più melodiosa e soave, non incuterebbe paura. Ora. ritornate voi stessi. Avete ancora il coraggio d'utilizzare termini come «SCHIFO», «RIBREZZO», «PAZZIA»???
Carlotta
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