«Io allenatore per caso» E Moratti già stravede

Quando è arrivato al Kashima era luglio. È una storia giusto per spiegare che tipo è Leonardo Nascimento de Araujo e perché dice che a lui non piace programmare niente. Dunque arriva al Kashima Antlers e viene accolto come il nuovo Zico, la sera stessa viene bandito un vero comitato di ricevimento con geishe, molto onorevoli, e champagne. Al momento del brindisi Leo alza la coppa e pronuncia il tradizionale: «Cin cin», creando un imbarazzo senza precedenti fra gli astanti. Perché in giapponese cin cin significa pene, nella sua accezione più cruda. Giusto per intenderci. La storia è nota perché a raccontarla in giro è stato proprio lui, avrà tempo per farsi perdonare con 30 gol in 49 presenze di J-league, dove si esibirà in tutti i ruoli immaginabili su di un campo di calcio. Sono aneddoti che racconti agli altri quando non hai problemi e sai distinguere una cosa seria da una che non lo è. Come quando dice che criticare Eto’o solo perché è rimasto un quarto d’ora senza fare gol non è una cosa seria. In fondo tutto è molto casuale: «E dire che neppure dovevo fare l’allenatore». È solo un brasiliano che nessuno riuscirà mai a cambiare perché sente che così com’è funziona: «Prendere o lasciare, Moratti lo sapeva, non sto qui a piangere». E Moratti se lo abbraccia ad ogni occasione ed è possibile che pensi a Leo come ad uno di quei colpi che fanno la storia della sua presidenza, tipo Ibra al Barça più Eto’o più tanti soldi. Adesso è diventato anche meglio di Fabio Capello con quei 33 punti in tredici partite di campionato: «No, per carità, Capello per me è un maestro, è lui che mi ha portato in Italia». Bè qui era facile, riuscivano tutti a fare i modesti, non è da queste risposte che si giudica un allenatore, magari contano più i 19 punti presi nei secondi quarantacinque minuti dall’Inter, cinque di Benitez e 14 tutti suoi. Ma poi nell’intervallo di Inter-Genoa, cosa avrebbe detto nello spogliatoio? Ranocchia dice che non si è arrabbiato, però ha saputo spiegarsi bene. Di sicuro ha preso Pandev e gli ha ricordato che una volta era un attaccante di grande prospettiva. Poi ha dovuto cambiare mestiere per esigenze superiori, si sa, e guai a toccare Mou: «Ma adesso ti rivoglio cattivo sotto porta». E il macedone entra e torna al al gol dopo Abu Dhabi, 18 dicembre, finale del mondiale per club, un’ottantina di giorni fa. L’Ad Ernesto Paolillo, voce ufficiale di Corso Emanuele, ha fatto sapere che Leo è una scelta perfetta: «E su di lui c’è un progetto a lungo termine».

E Leo, che continua a non indossare la divisa ufficiale e sfila con Dolce & Gabbana come ai tempi del Milan, fa: «Ma allora, ci siamo avvicinati, o no?». E fa niente se non schiera Recoba e conosce solo quattro parole in giapponese.

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