Per più di vent'anni è stato al fianco di un Papa, «angelo custode» di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Poi le dimissioni e nel giugno 2021 Domenico Giani, aretino, 60 anni, è stato nominato presidente della Confederazione nazionale delle Misericordie d'Italia. «Qui ho trovato persone competenti che amano il servizio che svolgono», dice.
Che impatto ha avuto, a livello anche personale, cambiare incarico, dopo essere stato tanto tempo vicino a un Papa?
«L'esperienza di comandante della Gendarmeria Vaticana ha certamente favorito la mia formazione. Ma oggi l'eredità di quel lavoro è tutta qui con me, nelle Misericordie. Proseguo la storia della mia vita, di quasi 40 anni di servizio e fedeltà alle istituzioni e alla Chiesa. Così sono consapevole di cosa mi aspetta alla guida della Confederazione: sono responsabile di un esercito di pace, di solidarietà, di volontari che danno tutto loro stessi per gli altri e lo hanno ben dimostrato in questi due anni difficili per il nostro Paese e il mondo intero».
E in concreto, come intende agire su una struttura che ha una storia più che centenaria?
«Certamente come capita di solito in situazioni di questo tipo, saranno necessarie alcune rimodulazioni organizzative, soprattutto in seguito a quello che abbiamo dovuto affrontare nell'emergenza pandemica. Ma è proprio durante questo periodo che le Misericordie hanno dimostrato di saper dare il meglio. Il nostro modello ha funzionato: la presenza capillare sui territori, la nostra esperienza di vigilanza e prevenzione, la cura della persona e l'amore per il servizio al prossimo. A questa operatività si aggiunge il modello economico, la regola del buon padre di famiglia: il sistema confederale delle Misericordie può aprire la strada allo sviluppo di modelli concreti sia su scala locale che nazionale».
Quali sono gli obiettivi e i principi che intende portare avanti e su cui puntare?
«Credo che la pandemia abbia imposto a tutti un serio momento di riflessione. Fin dal primo lockdown, ci siamo dovuti confrontare con i bisogni di solidarietà, assistenza, unità. Oggi la coesione sociale è messa a dura prova più di quanto non fosse stata nel periodo pre-pandemico. La creazione di nuovi modelli sociali, di assistenza, di attenzione a disabili, ai giovani, a chi si trova ai margini, sono essenziali alla ricostruzione del tessuto sociale. Fare inclusione, parlare un linguaggio universale, sono oggi momenti indispensabili. Il dialogo interculturale e interreligioso è il punto cardine, poi, di un'attività comunitaria e internazionale, insieme naturalmente all'attenzione per la salute che è diventata ormai una lingua comune, compresa da tutti».
E adesso, purtroppo, c'è l'emergenza rappresentata dalla guerra in Ucraina. Che cosa avete in mente di fare?
«Viviamo questo momento con profonda apprensione. A livello Confederale abbiamo da subito avviato contatti con molte rappresentanze diplomatiche e con la Caritas. Daremo il nostro contributo su ciò che ci vede da sempre in prima linea: l'assistenza sanitaria e l'aiuto alla persona. Doneremo ambulanze, farmaci, dispositivi medici e beni di prima necessità. I nostri oltre 100mila sono già in moto per dare il massimo.
Grazie all'Unhcr, l'agenzia Onu per i rifugiati, abbiamo invece dato il via a una raccolta di fondi. In momenti come questi è giusto che la macchina dei soccorsi, dell'assistenza, della solidarietà, sia coordinata. Ci daremo da fare insieme alle autorità italiane e ai governi locali».
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