nostro inviato a Milanello
Ha ragione Silvio Berlusconi: «Per litigare bisogna essere in due, per divorziare basta uno». Ieri, all’ora del digestivo, Leonardo Nascimiento de Araujo, detto semplicemente Leonardo, cittadino del mondo, milanista e brasiliano, le sue patrie calcistiche, 41 anni a settembre (stesso mese di Berlusconi ma non stesso segno zodiacale) ha ufficialmente divorziato dal Milan e dal suo patron. Lo ha fatto in modo perentorio, in qualche passaggio con un filo di bava alla bocca, interrotto un paio di volte da altrettanti sms che lo hanno portato a sospendere la conferenza-stampa (c’è chi ha pensato a commenti in diretta di Galliani, errore: il dirigente nel frattempo era impegnato nei lavori dell’assemblea della serie A in Lega, ndr).
Dopo un paio di domande utili a pettinare le bambole, il nodo. «Come giudichi l’ultimo intervento di Berlusconi?». Leonardo, che non è da Vinci nel calcio, ma nemmeno l’ultimo «pirla» per dirla alla Mourinho, ha imboccato la strada dello scontro frontale e della resa dei conti. Eccola: «Non so cosa ha detto il presidente ma a prescindere da quello, non posso negare che il nostro rapporto è difficile. È difficile, siamo diversi, abbiamo visioni diverse e questa non è una novità. Forse siamo incompatibili, è una questione di stile, ognuno ha il suo, forse in questi che ci sono oggi c’è incompatibilità di carattere». Evidente che Leonardo ha creduto ai giudizi sferzanti provenienti dalla solita cena coi senatori del mercoledì sera, a palazzo Grazioli. «Se qualcuno dice che ho detto qualcosa che non ho detto, io smentisco» la sua riflessione. Sacrosanto.
Messa così la sfida di stasera con la Fiorentina è andata a farsi benedire anche se l’interessato è sempre pronto a segnalare che «è l’unica cosa che conta, l’unica cosa a cui tengo». Il divorzio dal Milan e da Berlusconi è diventato l’argomento del giorno, nato nei giorni in cui il proliferare delle voci di abbandono da parte di Leonardo hanno cominciato a fare rima con l’assenza di Nesta e Pato, il declino della squadra (1 successo nelle ultime 7 partite) e l’incalzare delle critiche presidenziali. «All’inizio dell’anno andavamo male, quindi nessuna parentela tra i risultati e le voci su di me. Non le ho messe in giro io, mai ho pensato ad altro, mai ho detto che andavo» il suo giuramento. Dobbiamo credergli sulla parola perché Leonardo ha escluso tutte e due le ipotesi, «allenare la nazionale o dirigere il comitato organizzatore del mondiale». Le pratiche del suo divorzio non contemplano risarcimenti. «Il mio rapporto col Milan è solidissimo perché chiaro: dal momento che non sarò più io l’allenatore, per scelta mia o per scelta del club, zero euro» la precisazione. Il contabile di via Turati può tirare un sospiro di sollievo.
E che il divorzio dipenda dalla sintonia compromessa col patron, è fuori di dubbio. A domanda specifica, Leonardo ha risposto così: «Se andrò via sarà per tanti motivi. Io mi sono sposato con le mie idee. Certo sono testardo, credo ai miei valori e ai miei principi». Prima di difendere con le unghie il suo gruppo: «Tutto si può dire tranne che questa squadra abbia giocato male, non lo accetto. Si può chiedere di giocare meglio ma la squadra ha dato prova di dedizione, tanto di cappello alla squadra». Immancabile la citazione, questa volta di Renato Zero («ti darei gli occhi miei per vedere ciò che non vedi») per segnalare l’impossibilità di comprendere il motivo delle censure berlusconiane al pari dell’occhio strizzato ai tifosi, a stragrande maggioranza schierati dalla sua parte («i sentimenti non si ringraziano»).
A gestire il divorzio è rimasto il «pompierone» Adriano Galliani, pronto a sottrarsi al dibattito sull’argomento («in 24 anni mai chiosato il presidente Berlusconi») e a lucidare il curriculum del patron. «L’Inter è giustamente entusiasta della sua prima finale di Champions, spero per il ranking che batta i tedeschi prima dei rigori, ma i tifosi rossoneri devono essere grati a Berlusconi che li ha portati per otto volte a fare un’impresa leggendaria». E questo è il guaio.
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