"Io e Gaber, così diversi così vicini"

"Io e Gaber, così diversi così vicini"

nostro inviato a Viareggio

Se poi gli chiedi, caro Battiato che cosa la univa a Gaber, lui risponde : «Quello che ci divideva». Ieri sera, qui sul palco del Festival Gaber nella Cittadella di Viareggio, il più mistico dei cantautori ha cantato le canzoni del più libero di tutti, il Signor G, così libero che tutti oggi lo possono esaltare ma prima, tipo trent’anni fa, qualcuno evitava perché, insomma, non era il caso. Battiato è qui perché per decenni è stato amico vero di Gaber e per sempre gli dirà grazie di avergli finanziato il primo 45 giri, roba di secoli fa. Per di più, dopo aver applaudito gli altri ospiti della prima serata presentata come il solito da Enzo Iacchetti, Battiato ha duettato con un Morgan, risorto e, diciamolo, molto più lucido. Insieme, hanno cantato Te lo leggo negli occhi e Segnali di vita.

Battiato, difficile pensare a qualcuno più lontano da lei di Gaber.
«Sembrerebbe così. Ma così non è. I punti di contatto sono molti più di quanto sembrino».

Ad esempio?
«Lui disprezzava gli stereotipi. E io pure».

Lei infatti arrangiò le musiche dello spettacolo «Polli d’allevamento» del ’78, che era anche una critica feroce alle banalità del ’77.
«Gli stereotipi ci sono anche oggi, naturalmente, e naturalmente li disprezzerebbe ancora. Sono stereotipi il modo di vestirsi, il botulino, il modo di rubare».

Come ha conosciuto, Gaber?
«Nel ’65 io mi esibivo al Cab 64 di Milano, cantavo in dialetto siciliano due o tre canzoni a sera. Lì venivano tutti, da Cochi e Renato, a Bruno Lauzi a Gaber, che era già famoso. Una sera, dopo una mia mediocre performance, è venuto da me e mi ha dato il suo indirizzo: “Se hai bisogno, vienimi a trovare”».

E lei?
«La mattina dopo ero da lui. Produsse il mio primo 45 giri, c’era La torre da un lato e Triste come me dall’altro. Pagò le registrazioni e i musicisti. E mi fece avere un contratto con la Jolly».

Poi lei diventò anche chitarrista di Ombretta Colli.
«Abbiamo fatto qualche tour insieme. Una volta Giorgio consigliò a Ombretta, che era bellissima ma poco generosa nel mostrarsi, di usare un abbigliamento più sexy. Allora lei si presentò sul palco con una minigonna, che a quei tempi era un fatto clamoroso. Mi ricordo che a un certo punto ho visto che lei aveva il microfono ammaccato e uno spettatore della prima fila stava crollando per terra: l’aveva molestata e lei gli aveva fracassato in testa quel coso metallico».

Nell’83 poi le scrisse anche il testo di «Cocco fresco cocco bello».
«Ho frequentato molto Giorgio Gaber e la sua famiglia. Quando arrangiai le musiche di Polli d’allevamento lo consigliai anche di non usare il basso. E lui accettò a malincuore. Fu uno spettacolo riuscito».

Ma difficile. Qualche volta Gaber fu anche contestato.
«Per forza, non faceva sconti a nessuno. Ed è ovvio che ci fossero quindi contestazioni, specialmente in quel periodo».

Negli anni ’70 lei trascorreva molto tempo con Gaber.
«Bellissime cene. E partite a poker fino al mattino. Facevamo anche lunghe chiacchierate, specialmente da soli. Giorgio era un favoloso ascoltatore».

Di cosa parlavate?
«Di tutto. Dalla politica fino alla quotidianità. Un dialogo continuo. Lui era spietato, non sopportava l’immoralità. Era un suo punto fermo. Ed era qualcosa che ha conservato sempre, nella vita e nella carriera».

Poi, caro Battiato, con gli anni Ottanta anche lei divenne famosissimo.

Ma con uno stile musicale molto diverso.
«Però a Gaber piacevano le mie musiche. Mi ricordo che quando uscì l’album Fisiognomica del 1988, così pieno di cose mistiche e lontane dalla sua visione sociopolitica, lui mi fece molti complimenti».

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