«Io e Soldati, l’incontro di una vita»

«Io e Soldati, l’incontro di una vita»

di Salvatore Careddu

In ogni ricorrenza che si rispetti si ha modo di ricordare la persona che ci ha lasciato per tutto ciò che è stato nella vita di ognuno di noi. Così si avvicina quella in cui Mario Soldati ci ha lasciato, era il 19 giugno 1999. In me, come penso per tante persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo, ha lasciato un vuoto particolare, lasciando nella mia esistenza un qualcosa di incolmabile difficile da dimenticare.
Cerco così di ricordarlo, come se fosse ancora vivo, come se fosse accanto a me a conversare a discutere ad analizzare quanto accade, quanto succede nella quotidianità della vita.
Forse sono uno dei pochi che lo ricorda? Dico questo perché non ricordo in questi ultimi tempi di avere avuto modo di leggere, di seguire sui quotidiani, sui programmi televisivi, qualcosa che avesse come soggetto la sua persona.
Era solito dire che la vita o la si vive o la si scrive. La sua vita l’aveva vissuta e l’aveva scritta al centoventi per cento. Nei nostri incontri io gli raccontavo vita e imprese di un tutore dell’ordine che opera in provincia, e affronta casi di ordinaria criminalità. Ricordo quando tra i tanti ricordi ebbe modo di sottolineare quando si trovò per la prima volta a scambiare qualche parola con Giulio Andreotti, verso la fine degli anni Cinquanta. Quando la conversazione cadde sulla televisione, dopo il successo del programma «Viaggio nella valle del Po». A quei tempi i politici, mi disse non si dimostravano molto propensi ad apparire in video, se non quando fosse indispensabile, senza riflettere, ad un certo punto disse «chissà come avrebbe sfruttato la televisione Mussolini» e Andreotti prontissimo: «Mah, forse sarebbe caduto prima». Oppure quando si occupava di critica televisiva frequentando così il video con una certa assiduità, rimase incantato dalla persona di Berlinguer, dalla sua eloquenza di straordinaria perfezione, toccante struggente con il suo viso cesellato e smunto, col suo pallore, con le sue membra ossute e sciolte, un intellettuale puro uno studioso divorato dalla passione politica e formato alla scaltrezza politica negli anni tragici del finale fascismo e della guerra.
Anch’io ebbi modo di dirgli che nella mia attività professionale, quale comandante della stazione di Sestri Levante, avevo conosciuto Luigi Berlinguer il giorno che venne per inaugurare la sede del Pci a Riva Trigoso mi presentai e conversammo delle origini di entrambi, io di Olbia e lui di Sassari. È stato un incontro per me bellissimo ci salutammo con la promessa che se fosse tornato in Liguria sarei andato a trovarlo. Purtroppo dopo alcuni giorni ci lasciò.
Raccontai come tanti altri ricordi anche questo a Mario, e confermò quanto ebbe modo di dire dello stesso, che era un grande politico. Nella mia mente sono tanti i pensieri che si accumulano nella persona di Mario Soldati, ed in questo non posso dimenticare quanto diceva che non era possibile che le vicende della fama riservino a grandi intellettuali, artisti, poeti, pittori delle ingiustizie. Nessuna meraviglia quindi che la moda contemporanea si vendichi con freddezza e incomprensione.
Era un conversare a tutto campo, nei pomeriggi trascorsi assieme a lui. E quando a sera inoltrata mi chiamava per chiedermi un chiarimento, una precisazione su un episodio che mi aveva interessato professionalmente per i suoi «racconti del maresciallo». Già, il maresciallo. Per lui era come la ricerca del padre. Esprimeva il nostro bisogno di ritrovare quella figura severa, esemplare, protettiva, certo era solito dire l’ambiente in cui il maresciallo entra in azione è assai mutato in questi anni. Una volta arrivava sul luogo del delitto in bicicletta adesso arriva a sirene spiegate. Si serve dell’alta tecnologia e del programmatore elettronico per le indagini e per la classificazione delle prove: oggi interroga i tecnici di laboratorio più che volentieri dei testimoni, e tutte questo anche se i suoi metodi più sicuri restano le silenziose illimitate risorse del ragionamento dell’intuizione e dell’immaginazione. Per lui, era solito dire, il maresciallo è stato anche un pretesto per una divagazione su un personaggio per la scoperta di un paesaggio, per la rievocazione di un lirico. Sono certo che in questa ricorrenza anche se sono trascorsi tanti anni dal momento in cui ci ha lasciato la sua figura è sempre viva in chi gli ha voluto bene.

Trovandosi a Marsiglia scrisse nel giugno 1957 una frase che il figlio Giovanni dopo la sua morte ha inviato agli amici ed ai giornalisti «amò troppo la pace per credere di meritarla e strenuamente la fuggì», ora è contento.

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