«Io, ex ribelle, ora mi sento fragile e coltivo l’orto»

Taormina Da ragazza, incendiaria: contestazioni, ribellioni, abbasso le repressioni. Da donna matura, pompiera, ma con la massima impalpabile grazia (genere Madama Butterfly, con ombrellino, redingote di seta, chignon fermato da una farfalla viola, la stessa voce di flauto per cui Bresson l’assunse al telefono), Dominique Sanda, già musa di Bertolucci, Visconti, Bolognini, Cavani, oggi è una sessantenne esemplare. Di come si possa invecchiare in bellezza, detestare il modello Jessica Lange (che per fare la bravona, s’imbruttisce sullo schermo, «cadendo nelle trappole, mentre occorre stare attenti al disprezzo degli altri») e vivere felici con un testimonial affascinante dell’anticomunismo viscerale, il filosofo romeno Nicolae Cutzarida (suo marito dal 2000), scampato alla dittatura del soviet e docente di Filosofia Pratica all’Università di Buenos Aires. A Taormina, «luogo coccolato dagli Déi», Dominique ha incassato il «Tao Art Award» per i suoi quarant’anni di cinema.
Cara Dominique Sanda, tempo di bilanci: quarant’anni di cinema, un figlio grande, tre mariti e il tempo che scorre. La sua collega Jessica Lange lamenta una discriminazione verso le attrici ultraquarantenni. Lei come affronta la questione?
«Ammiro Jessica Lange, ma non sono stata contenta di vederla imbruttita, nel film Grey Gardens, né ho capito cosa volesse dire il regista, con quel lavoro: sono rimasta perplessa. La bellezza esiste, a tutte le età, e bisogna lottare, per mantenerla. E stare attenti al disprezzo degli altri».
In che senso?
«Spesso alla gente piace schiacciarti verso il basso. Io non voglio semplicemente lavorare, ma fare qualcosa che piaccia al mio pubblico, che rispetto. È il pubblico ad avere l’ultima parola».
Che cosa fa adesso? Ha dei progetti?
«Vivo a Buenos Aires, dove tutto mi ricorda l’Italia. Forse era nel mio destino passare da un continente all’altro: ho il mare nelle vene. Mio nonno materno, un capitano di Marina, ha doppiato sette volte Capo Horn... Il mio quartiere si chiama “Palermo” e porto i miei cani a passeggio in “Piazza Sicilia”».
Ma perché ha scelto proprio l’Argentina?
«Sono finita laggiù, luogo vasto e solitario, dove si potrebbero installare tutti i cinesi del mondo, dopo che un regista, venuto a vedermi a teatro, ne La donna del mare di Ibsen, mi propose di allestire uno spettacolo sui desaparecidos. Di fatto, mi è piaciuto mettere una distanza tra me e i problemi familiari: mio figlio Yann (nato dalla relazione con l’attore Christian Marquand ndr), che ha 37 anni, faceva la lotta con la mamma... Poi sono arrivati i nipotini, di 8 e 3 anni. Problemi familiari di tutti i colori. Così vivo in Sud America, lavorando anche in Uruguay: perché c’è il cinema anche lì!».
Che cosa significa, per lei, il mestiere di attrice?
«L’attore deve comunicare la felicità di vivere. La vita è ricca e non sappiamo cosa succede, dopo la morte».
Molto fatalista.
«Io, ho sempre voluto fare un’altra vita: a 16 anni, mi è capitato Bresson, a 18 Bertolucci. Sono stata una madre singola, ma...».
Ma?
«Miracoli non se ne fanno, anche se ho sognato di diventare una grande attrice. In Italia, Paese meraviglioso, è nato un grande amore reciproco».
Dov’è andata Dominique la ribelle, che scappa dalle convenzioni?
«Avevo 15 anni, quando i miei mi obbligarono a sposarmi».
Addirittura.
«Volevano che facessi teatro, ma ero timida. Soltanto nel 1993 ho deciso, io, di darmi al teatro.

La vita è un’evoluzione continua e gesti di ribellione, adesso... Coltivo l’orto, faccio il pane, ho vari progetti, che vorrei seguire. E credo che non si debba essere donne forti, anzi. L’attrice e la donna sono, in realtà, esseri fragili».

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