«Io fortunato? Una leggenda made in Italy»

Lippi: «E lo stress per lo scandalo e gli incidenti a Totti, Zambrotta, Nesta e Gattuso che cosa sono? Se passiamo, può succedere di tutto»

Franco Ordine

nostro inviato ad Amburgo

Non ha voglia di menar le mani (è una metafora, ndr) e accarezza la sagoma dell’Ucraina come pregustando il dolce sapore della semifinale. «Sarebbe fantastico» ripete più volte Marcello Lippi, estasiato dinanzi all’evento che può materializzarsi questa notte, ad Amburgo, dove già piegò la resistenza di Nedved e arrivò primo nel girone. Non ha voglia di menar le mani con i cronisti, di duellare insomma, e anzi, dinanzi alla provocazione («guardi, mister, non dia la formazione ché vogliamo sbagliare da soli»), sorride di gusto. Si vede che è oltre la curva a gomito del suo mondiale, alle viste la spiaggia paradisiaca della fase finale. «Sarebbe fantastico arrivare tra le prime quattro al mondo» indulge nella prospettiva che è da oggi il suo dichiarato traguardo. Suo e dell’Italia del calcio giunta allo snodo decisivo del torneo. Non ha voglia di menar le mani, metaforicamente parlando s’intende, ma riesce a cantarle, senza steccare, a giudicare dagli aggettivi usati e dagli argomenti utilizzati. Lippi le canta alla stampa straniera, per cominciare. «Hanno esagerato, dimenticando che per due anni di fila abbiamo giocato bene. Se poi in 2 o 3 partite offriamo uno spettacolo inferiore all’attesa, non è il caso di offendere» risponde misurato. E visto che è il momento giusto, prepara l’affondo verso le censure made in Italy che gli addebitano una fortuna sfacciata, il cul de Lip(pi) dopo il cul de Sac(chi). «Allora, mettiamo in fila il miliardo di problemi: abbiamo perso Totti per infortunio, recuperandolo, abbiamo avuto il più grave scandalo dello sport italiano, abbiamo avuto Zambrotta, Gattuso e Nesta infortunati e questa, voi, me la chiamate fortuna. Ammazza che fortuna, direbbero a Roma» chiosa divertito.
E visto che il discorso cade da quelle parti, apre il capitolo Totti con la replica, dovuta - anche qui mai risentita, educata e pertinente - sull’utilizzo della musa romanista. Sui giornali della capitale il reato di «lesa totteità» gli è stato contestato brutalmente. «Se c’è uno che ha creduto, disperatamente, in Totti, beh quello sono stato io. Fin dal primo giorno ho scommesso sul suo recupero, l’ho convocato a dispetto di molti e diffusi timori, l’ho fatto giocare la prima partita, l’ho fatto giocare la seconda, sostituendolo quando siamo restati in 10, l’ho fatto giocare la terza. È rimasto fuori alla quarta perché mi aveva confessato di essere molto, molto, molto ma molto stanco» la ricostruzione che non fa una piega. Riscritto il rapporto con Totti, che contiene una solenne conferma della sua presenza in campo, l’altro intervento è per cementare la posizione di Toni, destinato a incrociare i bulloni con l’Ucraina. «Contro l’Australia l’ho visto bene, molto bene, vivo, pronto nelle conclusioni, ha sfiorato il gol un paio di volte» la frase che vale una pacca sulle spalle e la maglia da titolare stasera. Al cospetto di Shevchenko, il grande rivale diventato una specie di incubo per il ct all’epoca sulla panchina della Juve, Manchester 2003, finale di Champions league. «Se fermiamo lui, abbiamo risolto soltanto il primo problema, poi resta l’Ucraina che è una delle rivelazioni del torneo. L’abbiamo affrontata a Losanna in amichevole, qualche sorpresa tattica è ancora possibile» il suo annuncio civetta, una specie di guida allo schieramento che verrà.
E che sembra quasi concordato con Sacchi, il suo tenero critico che gli riconosce l’usura fisica dei calciatori italiani. «Ci sentiamo spesso con Arrigo, ha ragione nel sostenere quella tesi. Perciò io, qualche volta, invece di inseguire sogni di gloria, mi devo preoccupare di realizzare l’equilibrio tra i diversi fattori. Perciò io e gli azzurri siamo orgogliosi di ciò che abbiamo fin qui realizzato» è la sua dichiarazione di principio. Se la Nazionale non è pimpante e spettacolare come con il Ghana non è solo una questione di involuzione tattica: ci sono acciacchi e assenze da valutare.
Acciacchi, assenze pesanti e anche carichi di fatica da distribuire, con centrocampo e difesa ai limiti del collasso. Basta scorrere l’elenco dei sempre presenti per averne conferma: Buffon, Cannavaro, Perrotta e Pirlo i quattro stakanovisti. «Abbiamo bisogno di cercare una equa distribuzione della fatica» sentenzia Lippi, sembra Bertinotti che arringa gli operai di Mirafiori, la svolta socialista del club Italia. E invece tradisce la realtà di questa Nazionale che perde i pezzi (ieri ko Peruzzi per un risentimento lombare, recupero per Iaquinta). «Eppure penso che si possa tornare allo spirito della prima partita. Specie con la crescita di Totti. Il suo gesto tecnico e psicologico, il rigore, gli ha dato di sicuro una grande carica. Eppoi Francesco ha recuperato energie in questi giorni» è la sua convinzione. Gliela si ritrova nella luce degli occhi di Lippi, mai attraversati da una nuvola, per una volta.

«Non dobbiamo porci limiti, in semifinale può succedere di tutto, magari ritroviamo gente che abbiamo già incontrato» comincia a puntare la Germania, presa a schiaffoni la sera del 1° marzo a Firenze. Non ha voglia di menar le mani, il ct. Ma di saltare l’ultimo vero ostacolo verso Berlino o Stoccarda, le città delle due finali.

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