Una giovane sposa che il giorno delle nozze spara sullaltare al proprio consorte. Un killer che appena uscito di prigione ritorna in azione per le vie di Barcellona. Una bimba che ha subito abusi terribili e nasconde esplosivo per un attentato. Sono alcuni degli ingredienti che costituiscono il plot di Non si deve morire due volte (Giano, pagg. 358, euro 17,5) di Francisco González Ledesma, scrittore con alle spalle una lunga carriera di avvocato e giornalista a La Vanguardia. Protagonista di questo arrabbiato noir è il disincantato ispettore Méndez già conosciuto dai lettori italiani nei precedenti Mistero di strada, Storia di un dio da marciapiede, La dama del Kashmir. Ed è lo stesso Ledesma (fra i protagonisti oggi del Festival Hispanica di Ivrea) a descriverci il suo personaggio: «Méndez vive da solo in una casa piena di libri, mangia poco e male, non ha gusto nel vestire, conosce la gente della strada, difende le donne e non ha alcuna pietà per i pedofili. In compenso è convinto che i piccoli delinquenti abbiano spesso diritto a una seconda occasione».
Come «nasce» il suo personaggio anti-eroe?
«Méndez prende ispirazione da quattro poliziotti reali che ho conosciuto di persona, uno dei quali era una guardia del corpo che si scordava sempre in giro la sua pistola. Gli altri erano agenti di buon cuore che vivevano in unepoca corrotta e che credevano nella legge della strada, motivo per il quale non hanno mai ottenuto una promozione».
Comè iniziata la sua carriera?
«Ho sempre desiderato fare lo scrittore. È un istinto a cui non so dare una spiegazione razionale. È probabile che il mondo in cui sono nato, povero e senza speranza, non mi piacesse e quando a qualcuno il proprio mondo non piace non ha altra soluzione che costruirsene un altro».
Quale fu la sua reazione quando il regime franchista la bollò come «rosso» e «pornografico»?
«Mi buttai giù perché non potevo lottare contro la decisione di un regime assolutista e mi accorsi che non avrei mai potuto pubblicare nulla di quello che scrivevo finché Franco fosse rimasto in vita. E così è stato. Ma la mia vocazione come scrittore non è mai vacillata. Anzi devo dire che la censura ha avuto su di me due effetti positivi: ha rinsaldato la mia volontà di scrivere e mi ha portato a vivere nellumiltà. Chissà, magari se avessi potuto coltivare il successo a 21 anni mi sarei trasformato in un giovane presuntuoso che non credeva nel lavoro».
Quanto è stato difficile continuare a scrivere nellombra usando vari pseudonimi?
«Lumiltà e la necessità di guadagnarmi da vivere mi hanno portato a lavorare a una serie di avventure popolari che firmavo con lo pseudonimo di Silver Kane. È grazie a quel lavoro da galera che credo di aver imparato come si scrive davvero un romanzo».
Che storie erano?
«Erano romanzi di avventura. La censura franchista non mi avrebbe permesso di pubblicare opere di natura sociale e politica».
Cosa che invece fa ora con successo...
«I romanzi noir della mia epoca devono maggiormente al clima sociale dei romanzi nordamericani che non ai gialli alla Agatha Christie. A me interessa raccontare la vita della strada e per questo credo che i miei romanzi possano definirsi sociali».
Quanto la sua Barcellona è diversa da quella di Alicia Gimenez Bartlett o di Montalban?
«Montalban e io eravamo amici. Alicia lo è tuttora, e di certo i suoi libri meritano tutta la mia stima, ma i miei personaggi sono diversi dai loro. Anche perché ho sempre cercato di inserire nelle mie storie argomenti molto personali e basati sulla mia esperienza».
Non ha mai pensato a un team up fra Méndez e Pepe Carvalho?
«No, non ho mai pensato a una relazione Méndez-Pepe Carvalho. Hanno due personalità diversissime pur lavorando negli stessi bassifondi di Barcellona dove siamo nati io e Montalban».
Legge e giustizia cosa significano per il suo Méndez?
«È un tema delicato che a volte fa sì che la giustizia e la legge entrino in conflitto.
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