«Io idolatrato nel Villaggio dei falliti»

L’interprete del ragioniere più umiliato nella storia del cinema italiano: «Il 90% delle persone si riconosce nel mio personaggio»

Maurizio Cabona

da Milano

«L'antesignano in Italia dell'operazione americana “Racconta del più sfortunato” sono stato io», dice Paolo Villaggio mentre sta per partire - via Milano - per Voghera. Ci va per le prove dei tre monologhi di Serata d'addio (prima nazionale a Torino).
Al suo Fantozzi va infatti male tutto, tanto corteggiare una donna quanto partecipare a una lotteria. Villaggio la definisce «una sfortuna drammaticamente buffa».
Da decano degli sventurati con una maschera, Fantozzi, celebre fin dal 1968, lei ha avuto decenni per farsi raccontare guai altrui.
«Tanti ci hanno provato. Invano. Mi nascondevo benissimo! Altrimenti gli italiani, grafomani come sono, m'avrebbero perseguitato».
Qualcuno sarà riuscito a trovarla!
«In treno, negli aeroporti, al ristorante, c'era chi mi diceva: “Sa che quel suo personaggio è come mio zio, come un mio amico, ecc.”. Incredibile: all'inizio nessuno voleva riconoscersi in Fantozzi!».
E poi?
«L'approccio è cambiato. Dopo un po' di anni, c'era chi mi diceva: “Tutto considerato, le sue storie per me sono state terapeutiche. Mi credevo isolato, mentre mi succedeva quel che succede al 90 per cento delle persone”».
A così tante?
«Almeno al 90 per cento degli iscritti alla corsa alla felicità».
Dove uno vince e gli altri perdono.
«E trovano le solite giustificazioni. Per le donne: se avessi voluto... ma io non ho ceduto! Per gli uomini: avevo le mie idee e non mi sono piegato».
Non c'è come non darla(o)...
«Il fatto è che pochissimi hanno le qualità fondamentali per riuscire, come la disponibilità a tradire gli amici più cari. Sono incapaci perfino d'esser disonesti».
Com'è chi è capace?
«Ha l'animo del politico, che rende disponibile per fare il portaborse di un pescecane, per seguirlo nonostante le umiliazioni, fino a emergere».
Chi non emerge si consola...
«...leggendo le storie di altri ai quali è andata anche peggio».
Fallito cerca fallito per non sentirsi solo?
«All'incirca. Quella americana è un'eccellente operazione commerciale. Del resto gli Stati Uniti sono il Paese più infelice dell'Occidente proprio per la sua filosofia della felicità attraverso il successo».
Che non rende felici?
«Rende felici eccome. Lo erano Gassman, De André, Tognazzi e Fellini, che ho frequentato».
Allora è l'insuccesso a rendere infelici.
«È il fatto che il successo è di pochi. Una volta, gli altri speravano almeno nel paradiso...».
Ora non più?
«Meno. Pensi com'è vuota la vita d'una donna in menopausa, se il successo nel lavoro non la riempie».
Rimedi?
«Oltre ridere di chi sta peggio di noi? L'oblio coi farmaci».
O con la tv.
«Che però ha migliorato la cultura media, almeno in provincia, almeno al nord. Un esordio è meglio lì che a Milano o a Torino, per non dire a Roma, dove i giovani vanno al cinema e non a teatro e gli adulti, se vanno a teatro, è solo per addormentarsi».


Genovese come lei, ho 55 anni, abito a Milano, non dormo a teatro perché vado al cinema. Mi consiglia il parroco o il farmacista?
«A Milano apra una bottega, spacci farinata, torta pasqualina e, ai ricchi, anche quella prelibatezza che è la cima. Forse così avrà successo».

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