IO, L’ESILIATO CHE AMA GENOVA

Genova inizio anni '80. Per quattro amici al bar, che sognano di cambiare il mondo e che ancora devono diplomarsi, i locali dove far tardi, discutere, ubriacarsi e credersi un po' Baudelaire e un po' Rimbaud si contano sulle dita di una mano: la Polena, la Panteca, la Forst e Gino.
Il mare non esiste se non in Corso Italia. Il Porto antico è un'Utopia di cui non si sente ancora parlare. Via Cairoli e via Garibaldi sono intasate d'auto, così come S. Lorenzo e Balbi, nere di smog.
Il Carlo Felice è una rovina lasciata lì dalla guerra, il Teatro Modena è chiuso così come il S. Agostino mentre il Teatro della Corte deve ancora sorgere. A Palazzo Ducale iniziano i restauri.
Genova metà anni '80. Su venticinque ragazzi che si diplomano al D'Oria solo in tre resteranno, dopo l'università, a lavorare a Genova: gli altri, chi per un sogno, chi per vezzo, ma la maggior parte per necessità, andranno a Milano, Torino, Bruxelles, Roma.
Genova inizio anni '90. La guardo da Milano, mi sembra indietro anni luce.

Milano sta vivendo gli anni della Milano da bere (e da mangiare), non sa ancora che le sue modelle e le sue stelle filanti, i suoi yuppy e i suoi manager saranno messi in cantina da Tangentopoli nel giro di due anni.
Genova metà anni '90. I Mondiali. Le Colombiane. I Teatri che si inaugurano uno ad uno, i locali che aprono, il centro storico che inizia a vivere davvero. (...)

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