"Ma io, nero, ammetto: siamo diversi"

L’economista Fryer: "La discriminazione non può spiegare le differenze"

"Ma io, nero, ammetto: siamo diversi"

Roland Fryer chiama tutti così: «Fratello». Orgoglio nero e slang di quartiere: «Diciamolo, la differenza esiste. La statistica dice che bianchi e neri sono diversi nei numeri della mortalità infantile, dell’aspettativa di vita, nei test attitudinali scolastici, nei diplomi di educazione superiore».

Fryer è uno che fa discutere: a trent’anni, è il più giovane professore associato di Economia ad Harvard. Abbandonato dalla mamma quando aveva sei anni e cresciuto in un orfanotrofio perché il padre era in galera per stupro, è convinto che la genetica ha dato il colore della pelle diverso e però anche una un’intelligenza diversa: «Voglio una discussione franca sul discorso razziale in un momento e in un luogo in cui non credo si possa averla. Vorrei semplicemente capire che cosa è andato storto». Per capirlo è partito dalla fine: «Gli americani neri hanno una maggior incidenza di ipertensione, malattie cardiovascolari, infarti e altre malattie correlate. Colpa del sale nel sangue. Così come molti schiavi morivano durante le traversate per disidratazione, così l’attuale generazione afroamericana, figli e figlie degli ex schiavi, hanno una propensione genetica all’ipertensione notevolmente più alta degli americani bianchi».

La diversità fisica c’è e quindi c’è anche il resto. Altra ricerca, poi una in più e ancora un’altra: tutte e tre hanno messo in fila la teoria della differenza di razze. «Noi neri impariamo meno. Io ho messo sul tavolo tutto: ci ho messo il razzismo, la discriminazione, la supremazia bianca e il comportamento dei neri.

Quello che viene fuori, considerando ogni variabile sociale, è che anche le nuove generazioni di bimbi afroamericani non se la passano bene. Mia nonna mi dice che anche lei l’aveva intuito. Io le rispondo sempre che il mio lavoro è trasformare la sua intuizione in qualcosa di scientifico».

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