«Io, il nuovo Ruggeri un cantastorie in tv»

In crescita la sua trasmissione su Italia Uno: lunedì ha superato il 14 per cento di share. «Racconto la vita di persone alle quali è successo qualcosa di non comune. Non presenterei mai un talk show»

Paolo Giordano

da Milano

Qui ci vuole l’antefatto. Quando il direttore Luca Tiraboschi affidò a Enrico Ruggeri il programma Il bivio - Cosa sarebbe successo se... i più benevoli abbozzarono. Gli altri allargarono le braccia: ma che cosa ci fa un cantante in un programma che ricorda il film Sliding doors? E invece. L’altra sera davanti allo schermo di Italia Uno, mentre Ruggeri chiacchierava con una casalinga qualsiasi finita a San Vittore a colpi di truffe, c’erano quasi tre milioni di spettatori (19,12 per cento di ascolti) e alla fine lo share medio è stato del 14,33 per cento con un milione e 764mila teleruggenti. Per capirci, più o meno alla stessa ora il Tornasole di Andrea Pezzi, tinto di grandguignol perché con lui c’era Funari, ha racimolato su Raidue il 9,94 per cento. Contabilità televisiva a parte, Ruggeri è un inno alla mobilità: sapendo raccontare bene le storie, lo fa su disco e pure in tivù. Cambia il supporto, ma la musica è insomma la stessa.
Però se lo avesse saputo prima, magari avrebbe scelto la tivù e addio canzoni.
«No, avrei fatto comunque il cantautore, ho voglia di comunicare, infatti scrivo anche libri».
Ma la televisione.
«Sono stato così tanto critico con la tivù che alla fine mi son detto: troppo facile, adesso provo a farla e poi vediamo se la penso ancora allo stesso modo».
Risultato?
«Penso sempre che non dirigerei mai il traffico tra persone urlanti».
Prego?
«No ai talk show. Al resto, chissà».
Quindi continuerà.
«Dipende. Io sono adatto a questa trasmissione, al Festival di Sanremo no, mi mancherebbero mille cose».
Mica si nasce imparati. Intanto avrà già la sindrome del mattino dopo, tipica dei conduttori televisivi in balia dello share.
«In realtà non corro a guardar Televideo ma aspetto che mi telefonino per darmi i risultati d’ascolto. Però ammetto che ho un po’ di curiosità. Per fortuna quando i dati sono buoni si lavora con più tranquillità».
Ma poi la gente per strada conta di più dell’Auditel.
«Chi mi ferma in giro dice: finalmente qualcosa di nuovo».
Però spieghi che cos’è.
«Ho trovato un cocktail giusto tra curiosità per i fatti e rispetto per chi li ha vissuti».
È il senso della vita. A proposito: adesso Bonolis è un suo collega di fascia oraria.
«Ho visto un paio delle sue interviste sulle foto. Spero che una volta inviti anche me. Mi piacciono le interviste pacate, sono quelle che provo a fare anch’io, rispettando gli ospiti che arrivano in studio».
Poi che cosa le dicono quando escono?
«Mi ringraziano perché si sono sentiti a loro agio».
Merito anche di chi ha puntato su di lei.
«Quando il direttore di Italia Uno Tiraboschi mi ha convocato ero terrorizzato».
Ha scommesso e ora la ringrazia: «Complimenti a Ruggeri perché ha confermato la sua straordinaria capacità nel condurre il programma».
«L’idea è fortissima e, soprattutto, adatta a me».
Soprattutto adatta anche al pubblico di Italia Uno, giovane per definizione: il 28 per cento dei teleruggenti sono donne sotto i 24 anni.
«Raccontiamo la vita di persone comuni alle quali è successo qualcosa di non comune. La vita di chi ha avuto un bivio decisivo».
Lei quanti ne ha avuti?
«Tanti. Una volta stavo cercando dei musicisti per andare in tournée.

Allora sono entrato da un rivenditore di dischi di cui sono amico per chiedergli un consiglio e lui mi ha risposto: ma perché cercarne addirittura quattro? Io ne conosco una sola che li suona tutti, e molto bene».
Chi era?
«Andrea Mirò. È diventata la mia compagna».
È la mamma di Ugo.
«È nato il 19 aprile, il giorno dell’elezione di Ratzinger. Perciò abbiamo deciso di chiamarlo Ugo Benedetto».

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