"Io pericoloso? Mi viene da ridere. Ho lottato per non morire in cella"

Intervista a Contrada. "Insistono a trattarmi come fossi Provenzano o Bagarella, ma sono un vecchio di 77 anni, senza più forze. Sono vittima di un processo kafkiano basato sulle frottole dei pentiti"

"Io pericoloso? Mi viene da ridere. Ho lottato per non morire in cella"

nostro inviato a Napoli

Non hanno potuto fare a meno di metterlo fuori dal carcere, ma è come se ce l’avessero lasciato. Ha dell’incredibile l’accanimento giudiziario nei confronti del settantasettenne ex funzionario del Sisde, Bruno Contrada, malato gravissimo, a rischio vita, assolutamente «incompatibile con il regime carcerario», secondo l’ultima agghiacciante perizia medica. Di fronte alla richiesta di scarcerazione per motivi di salute sollecitata dal procuratore generale, i giudici che per venti volte hanno respinto ogni istanza di remissione in libertà, si sono dovuti adeguare, ma a modo loro. E così, anziché scarcerarlo accettando il differimento della pena sollecitato dal Pg (condanna sospesa, possibilità di curarsi a casa senza restrizioni e controlli) gli hanno concesso gli arresti domiciliari. Non a Palermo, dove chiedeva Contrada e dove ad attenderlo c’è la moglie cardiopatica che non può viaggiare. Ma a Varcaturo, venti chilometri dalla gomorriana Casal di Principe, dove abita la sorella Anna.
Il motivo? Il moribondo Contrada secondo i giudici è ancora «socialmente pericoloso». Deve stare lontano dalla Sicilia e dai mafiosi come lui. Come se non bastasse, il provvedimento del tribunale di sorveglianza ha una scadenza: sei mesi, non un giorno di più. Dopodiché, se il vecchio poliziotto migliorerà anche solo un pochino, dovrà fare immediato ritorno in cella. Nel frattempo gli è fatto divieto di parlare con «persone esterne diverse dai propri congiunti con lui conviventi, il proprio coniuge e i figli». Ergo, visto che la consorte è gravemente malata e non si muove da Palermo, visto che i figli vivono e lavorano a Palermo, Contrada sulla carta dovrebbe stare solo. Peggio che in carcere, dove almeno divideva le sue giornate col collega Ignazio D’Antone e altri militari detenuti. Comunque sia, almeno un piccolo passo è stato fatto.
I giudici hanno riconosciuto che il quadro clinico si è aggravato: «La condizione patologica - scrivono - è divenuta ulteriormente complessa tanto da richiedere un monitoraggio continuo e costante e un ricorso sempre più assiduo ai trattamenti sanitari che sono ritenuti necessari per fronteggiare adeguatamente i danni o i pericoli che siffatte malattie producono». Ovviamente si dice soddisfatto («a metà») l’avvocato Giuseppe Lipera e quei parlamentari che da tempo si battono a fianco di Contrada.

A cominciare da Amedeo Laboccetta di An che per primo ha dato notizia dell’avvenuta scarcerazione («però non capisco perché gli hanno dato solo i domiciliari e non il differimento della pena») e Stefania Craxi («Contrada è una vittima dei giudici, come mio padre»). Tra le new entry, a sorpresa, c’è il vicepresidente dei senatori del Pd, Nicola Latorre: «La scarcerazione di Contrada è una decisione giusta e tardiva».

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