Preceduto dall’aureola di sciabolatore sopraffino, divo tv e sciupafemmine, l’olimpionico Aldo Montano arriva incarnando alla perfezione le sue molteplici nature. È un baldo giovanotto ottimamente attrezzato in spalle, muscoli ed energia. Altrettante credenziali per l’atleta, il divo e lo sciupafemmine.
«E due. Non sono uno sciupafemmine. Assolutamente no», smentisce con largo sorriso e marcato accento livornese mentre con stretta ultravirile mi fa secca la mano.
«Lasci che completi la sua descrizione prima di controbattere» dico squadrando l’Adone in maglietta mezzemaniche nera che siede accanto me nell’elegante Caffè romano sotto casa sua dove ha fissato l’appuntamento.
Non è davvero il tipo che passa inosservato. Ha l’aspetto guascone che piace alle ragazze. Bel viso da teleromanzo, capelli lunghi da bucaniere, barbetta sapientemente trascurata. Ha i brillantini ai lobi e gli avambracci tatuati. Sul destro, il motto dannunziano, Memento audere semper.
«Questa fama di donnaiolo me l’hanno appiccicata giornali e tv», dice appena sistemati, lui con un caffè, io con una spremuta.
«Invece è un santarellino», ironizzo.
«Quando leggono delle mie presunte avventure, gli amici d’infanzia mi prendono in giro: “Proprio tu, che non hai mai beccato niente”, dice e, se anche lì per lì non gli credo, man mano che parliamo i contorni del giovanotto cambiano.
I Montano sono una dinastia livornese. Testardamente tradizionalisti, continuano ad affibbiare ai nuovi nati gli stessi nomi degli avi: Aldo e Mario, Mario e Aldo. Da tre generazioni, nonno, padre, tre cugini e l’Aldo qui presente sono campioni olimpici di sciabola. Da cinque generazioni, ossia dal 1908, sono proprietari di cantieri di riparazioni navali.
«Da un anno ci lavora anche lei».
«Ho 31 anni. Un’età in cui non sei né vecchio, né giovane. La scherma è uno sport povero e devi cominciare a mettere qualcosa in cascina. Continuo ad allenarmi, ma imparo anche il mestiere di papà che, tra qualche anno, sarà il mio a tutti gli effetti», dice saggiamente. In questo modo, mette pure a frutto il suo diploma di geometra.
«Com’è che ha casa a Roma?», chiedo.
«Ci ho vissuto nove anni per gli allenamenti. Fino all’anno scorso. Adesso faccio la spola con il cantiere di Livorno».
«Dei sei Montano olimpionici, lei è il gioiello: l’unico che abbia conquistato l’oro individuale, ad Atene nel 2004», osservo.
«Ci avevano provato tutti, ma io ho vinto la sola cosa che agli altri non era riuscita. Fortuna e, ovviamente, qualche merito».
«Com’è nata questa sequela di schermidori?».
«Con mio nonno negli Anni Venti. Era un undicenne in sovrappeso. Il medico gli ordinò un dimagramento. Uno zio, socio del circolo della scherma che però questo parente frequentava solo per donne e carte, lo affidò al maestro Beppe Nadi. Era il padre di Nedo Nadi, medaglia d’oro di scherma alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912, e fece di mio nonno un campione».
«I Nadi, i Montano. Livorno è la Mecca della scherma!».
«A Livorno, il Granduca spediva i peggio scarti della Toscana. Era una città di ex galeotti, sanguigna, violenta e irriverente. Bisognava sapersi difendere».
«Dopo il nonno, fu la volta di suo padre».
«A papà non piaceva la scherma, fu il nonno a imporgliela. A Livorno si ricordano ancora due mentecatti correre per il corso principale, Via Roma. Erano papà che fuggiva dalla palestra con la sciabola in mano e nonno che lo inseguiva roteando la sua».
«Com’è che i Montano hanno preferito la sciabola al fioretto?».
«È stato il mio cruccio. Avevo cominciato col fioretto, più lento e riflessivo. Mi piaceva più della sciabola. A 14 anni mi trovai al bivio. Scelsi la sciabola per seguire la tradizione di famiglia».
«Vinta l’Olimpiade, lei ha dirazzato. Si è dato alla tv. Quelli del calcio, La Fattoria, una comparsata dietro l’altra».
«Per un decennio non avevo visto altro che pedane, volevo sapere cos’altro c’era al mondo. A 24 anni si può capire. Inoltre, facendo tv, guadagnavo comodamente un bel po’. Chi fa scherma mette insieme poche lire».
«Litigò con Federscherma, minacciando di cambiare nazionalità e gareggiare con la squadra di un altro Paese».
«Avevano allontanato l’allenatore, il franco-tedesco di Strasburgo, Christian Bauer. Decisione sconsiderata. Bauer è andato in Cina e nel 2008 a Pechino i cinesi hanno vinto la medaglia d’oro. Segno che proprio un cretino non era».
«Lei che nazionalità voleva prendere?».
«Neozelandese. Avevo preso contatti col consolato e a ottobre scorso era cosa fatta. Ora però è rientrato tutto e ho sbollito la rabbia. Mi sono accordato con la Federazione che mi dà il permesso di andare ogni tanto in Cina da Bauer ad allenarmi. Alle Olimpiadi 2012 di Londra gareggerò in azzurro».
«Avrebbe davvero cambiato nazionalità?».
«Ho usato la minaccia come merce di scambio. A me piace da matti essere italiano. Gli italiani che all’estero seguono i miei incontri mi danno un senso più ricco e profondo dell’Italia. Mentre qui non ci va bene niente e stiamo sempre a denigrarci», dice amareggiato e scola il caffè per consolarsi. Ma, dimenticando lo zucchero, peggiora il suo stato d’animo.
Ad Atene vinse in divisa di Cc. Poi, come la sua collega Margherita Granbassi, la gettò alle ortiche per andare in tv.
«Ai Cc devo fare un elogio e una critica. L’elogio è che se non ci fossero i gruppi sportivi militari, non andremmo lontano. È col loro supporto che portiamo le medaglie a casa. Il male, invece, è che ti tarpano le ali. Anziché capire che andare in tv è pubblicità per tutti, fanno un mucchio di storie. Se per una volta ti dicono ok, mettono paletti a non finire. Mi sono stufato e ho lasciato l'Arma».
Tutti ricordano, con invidia, il suo flirt con Manuela Arcuri. Rimasti amici?
«È stata una storia importante. Poi è finita. L’amicizia non c’era prima e non c’è stata dopo».
Show girl è anche Antonella Mosetti, la sua fiamma attuale. Se non sono dive neanche si prende il disturbo?
«Non lo faccio apposta. Ma frequento l’ambiente e sono un personaggio noto. È quasi inevitabile. Antonella l’ho conosciuta nel ristorante che ho aperto a Roma tre anni fa».
Fa anche l’oste?
«Ora ho dato il locale in gestione perché devo allenarmi per Londra. È rimasta invece Antonella. Dura da due anni e sette mesi. È una storia molto seria».
Come concilia sport e distrazioni?
«Si concilia. Sono molto attivo e voglio fare tante cose. Scherma, cantiere, amore. È la vita normale di un giovane. Quello che fa rabbia è che se poi vinci le Olimpiadi e continui a fare le cose di prima, di colpo sei additato come uno scriteriato incosciente».
È di nuovo in gran forma. Quest’anno ha vinto tutto.
«Sono uno che vince parecchio, ma non tutto come un Valentino Rossi, una Valentina Vezzali, uno Schumacher. Adesso spero di vincere gli Europei tra due settimane e i Mondiali a ottobre».
Qual è la differenza tra lei e Vezzali?
«Io non sono un alieno. Valentina su dieci gare, nove le vince, e quella che perde fa notizia. Io faccio notizia se vinco».
Cosa sono politicamente i Montano?
«Vecchi liberali che oggi non esistono più».
Lei?
«Ho le mie idee. Ma trovo sbagliato per uno sportivo dichiararle pubblicamente».
Il Cav è venuto a Viareggio per la tragedia. E stato fischiato da gente col pugno chiuso. Da condannare o è comprensibile?
«Mi guardo dal condannare persone colpite così duramente. Bisogna ingoiare il rospo. L’importante è fare chiarezza sulle cause dell’incidente».
Da un cultore di arti marziali ci si aspetta un’etica tipo Dio, Patria, Famiglia.
«La scherma si ispira alle regole cavalleresche. Il saluto prima e dopo l’incontro, all’avversario, all’arbitro, al pubblico. Lo sport in genere ti educa al rispetto dell’altro e tiene alla larga da brutte cose».
È patriota?
«Molto, molto, molto. A volte mi criticano per questo e non capisco perché. Io sono fiero del Tricolore. Sono fiero quando grazie a una mia vittoria lo faccio innalzare. Mi emoziona l’Inno. Forse sono un nostalgico. Forse».
È credente e praticante?
«Credente, sì. Praticante, no».
È fedele o saltabecca da un letto all’altro?
«Se hai bisogno di un’altra persona, vuole dire che l’amore che stai vivendo è finito. Allora, meglio rompere che avvilirsi».
Se non fosse sciabolista in che altro avrebbe voluto eccellere?
«In terza media volevo fare il calciatore. C’erano le premesse: Armando Picchi, che fu all’Inter, è mio parente. Per convincere mio padre, ho usato l’argomento che fa più breccia nei Montano: “Anche lì abbiamo la tradizione”. Non c’è stato verso. Voleva che facessi scherma. Poi, cominciai a vincere sulla pedana e abbandonai l’idea del calcio».
Ha un idolo sportivo?
«Mio nonno che dall’infanzia mi ha riempito la testa con i racconti delle Olimpiadi cui aveva partecipato. Il ’36 a Berlino con Hitler e Mussolini. Il ’48 a Londra in un mondo trasformato. Poi, mio padre che mi raccontava di Monaco e l’attacco palestinese. Ho imparato la storia attraverso le Olimpiadi».
Vuole figli?
«E me lo chiede? Col mio amore per la tradizione ne voglio più d’uno. Tutti i parenti campioni hanno avuto solo figlie femmine, nessuna delle quali fa sport.
E lei?
«Devo ancora approfondire con Antonella. Ma sono stato un figlio così felice che vorrei dare la stessa gioia ai miei figli».
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