«Nessuno suonava il blues a Milano negli anni 60, così quando io cominciai, un giornalista disse che, come John Mayall era il leone di Manchester, io ero il puma di Lambrate e questo simpatico soprannome mè rimasto appiccicato addosso. Si racconta Fabio Treves, milanese doc e soprattutto principe dellarmonica blues (ha portato i nostri colori persino al Festival blues di Memphis) che festeggia 35 anni alla guida della Treves Blues Band (e 60 anni di vita) stasera con un megaconcerto al Bloom di Mezzago.
Allora tanti ricordi e tanti successi.
«Sì ma col blues non diventi ricco e non vai in tv. A me basta aver suonato con Frank Zappa, Mike Bloomfield, Buddy Guy e continuare a diffondere il blues con i miei dischi e i miei concerti».
Decine di concerti allanno: ricorda il primo?
«Non cerano locali per suonare il blues. Cera il Santa Tecla, il Tricheco, il Bang Bang ma facevano altra musica. Così debuttai nel 67 alle Gazzelle di viale Padova e chiamai la mia band Friday Blues Group. Suonavo larmonica in modo indecente perché nessuno mi aveva insegnato che cerano le tonalità».
Comera la Milano musicale allora?
«Cerano le sfide tra gruppi scolastici; ogni liceo ne aveva uno. Il Berchet aveva gli Stormy Six che cominciavano a farsi strada; lIstituto americano aveva Eugenio Finardi; lEinstein Alberto Camerini; noi venivamo dal Berchet e perdevamo sempre. Per prima cosa perché il blues non lo filava nessuno; poi perché avevamo un look molto dark. Pensavamo che il blues fosse dark e in parte lo è, ma è anche divertimento, ballo, gioia di stare insieme».
Il blues come modo per andare controcorrente?
«Non so, come qualcosa che avevo dentro. Prima di darmi definitivamente al blues feci parte del gruppo aperto Simon Luca e LEnorme Maria con Camerini, Finardi, Donatella Bardi. Andammo anche a Sanremo con Fausto Leali; ma nel mio animo sentivo il richiamo di Muddy Waters, Howlin Wolf, e larmonica di Little Walter che mi ha cambiato la vita. Nel 74, quando nasceva il rock alternativo, tutti mi diedero del matto quando formai la Treves Blues Band».
A furia di tentare oggi è unistituzione.
«Il primo a credere in me fu Renzo Arbore che mi portò nei suoi programmi tv: Laltra domenica, Quelli della notte, Doc. Quindi trovai spazio per i concerti a Milano; non avrei mai pensato di aprire i concerti di Peter Tosh e di Charlie Mingus al Vigorelli. Lì nacque il nostro pubblico, che è ancora fedelissimo e oggi è organizzato in un grande fan club».
Comè oggi la situazione dei locali milanesi?
«Molto migliore di quando iniziai io. Ce ne sono tanti, ci sono più possibilità di emergere per i giovani che hanno idee».
Anche nel blues?
«A Milano ci sono tanti giovani gruppi come Cava Blues band e gruppi noti come la Gnola Blues Band o quello di Paolo Bonfanti. Come ho detto prima è una scena di culto ma molto attiva. Anche se si vendono meno cd oggi su Internet si trova tutto. Un tempo se cercavi un album o informazioni su un artista dovevi andare allInnovazione di Lugano. Perciò sono felice di aver contribuito, a Milano, alla fondazione della rivista Il blues di Marino Grandi».
Come festeggiate stasera?
«Fosse per me festeggerei con un concerto lungo una settimana; invece cercheremo di dare il meglio con il nostro repertorio tra cover e brani originali, unendo il blues elettrico di Chicago a quello acustico del Mississippi in un cocktail personale».
Un sogno di Fabio Treves.
«Mi ritengo fortunato, ho ottenuto tanti obiettivi.
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