Manlio Cancogni, classe 1916, dopo una carriera giornalistica e letteraria di primissimo piano, riporta in libreria Parlami, dimmi qualcosa (Elliot), da molti considerato il suo capolavoro, edito in origine da Feltrinelli nel 1962. È tra i cinque finalisti del premio Pen Club.
Cancogni, si ricorda? L’anno scorso di questi tempi, a Marina di Pietrasanta, pochi giorni dopo il suo 93° compleanno...
«Certo che mi ricordo.Un’intervista piena di sottile nostalgia. Parlammo di giornalismo d’inchiesta, che avrebbe molto da imparare dalla narrativa, di riviste letterarie scomparse che si recensivano a vicenda i racconti pubblicati, cosa oggi impossibile, e poi di religione, ché ancora adesso il Vaticano riempie le piazze ma non le chiese, di giovani cronisti, di fritture di parazzi e zuppa di arselle».
Quando ci si avvicina ai cent’anni e si è un classico ci si deve aspettare interviste a cadenza annuale.
«Infatti eccoci qui. Tanto più che Elliot ha appena ristampato il mio romanzo d’amore coniugale Parlami, dimmi qualcosa , fuori commercio dal 1972 e in assoluto, tra i miei, quello che amo di più. L’anno scorso,invece,era appena stato pubblicato La sorpresa , raccolta di miei racconti dal 1936 al 1993».
Come sono andati gli ultimi dodici mesi?
«Mi sento abbastanza bene. Prendo troppe medicine, ma ne va della vita, come direbbe Don Abbondio, o almeno cosi mi hanno fatto credere i medici, incuranti che tutta questa chimica alteri il gusto e che, alla fin fine, sia solo veleno. Per il resto, leggo».
È riuscito a finireil Doctor Faustus di Thomas Mann, iniziato a luglio scorso?
«Gran libro, ma faticoso. Il destino del protagonista Adrian Leverkühn ha una sua grandezza penosa, simile a quella di Nietzsche, a cui Mann si è ispirato. Pensavo proprio l’altro giorno come il dialogo tra Leverkühne il diavolo ricordi da vicino quello di Ivan Karamazov con lo stesso terribile interlocutore. Ma anche il curato di Bernanos, messo dal suo creatore nella stessa situazione, non scherza affatto quanto a potenza letteraria. In quelle poche pagine l’autore dei Grandi cimiteri sotto la luna
riesce ad avere una forza persuasiva che manca a Mann e Dostoevskij. Ti fa sentire letteralmente il diavolo addosso e le tenebre intorno. Anche Un crimine è un altro gran libro di Bernanos, enigmatico e irrisolto».
Fuor dalla narrativa che legge?
«Il terzo volume delle memorie di Churchill, dove racconta della battaglia d’Inghilterra. Mai come in quel momento, scrive, così tanti dovettero molto a così pochi. Cioè a quei piloti di caccia inglesi che respinsero i tedeschi di Goering, convinto che il “leone marino”tedesco sarebbe sbarcato senza difficoltà sul suolo britannico.
Poi venne la nostra campagna di Grecia. Si discute ancora se Mussolini era consapevole della nostra totale inefficienza militare. Semplice: Mussolini era uno che desiderava ardentemente essere ingannato a proposito. Lo so perché ero in Grecia nel 51˚ battaglione fanteria, divisione Cacciatori delle Alpi, quelli che portavano la cravatta rossa e che ai superiori rispondevano con “Obbedisco!” anziché “Comandi”. Tra l’altro, mio nonno Cesare Cancogni era garibaldino».
Che dire, invece, dell’ultimo anno a livello politico-culturale? «Spero che si arrivi presto, nel PdL, alla spaccatura con Fini. Lui la cerca attivamente, è così chiaro. Ma non so quanto di concreto ci sia sotto la sua immagine di rispettabilità. Non parlo dell’opposizione perché non si capisce nemmeno chi la rappresenti. Penso che l’Italia non abbia troppo bisogno di essere governata, va avanti da sé. Lo diceva anche Mussolini: governare gli italiani non è difficile, è inutile. Non è una cattiva idea. Noi italiani ce la siamo sempre cavata realizzando il più basso livello di autogoverno. E non è il caso di temere troppo, nemmeno artisticamente, il cosiddetto declino dell’Occidente nei confronti dell’Asia. Se ne parla da un secolo, ma le cose importanti mi pare che accadono ancora qui nel Vecchio Mondo».
In Parlami, dimmi qualcosa si legge a un certo punto: «... diedi uno sguardo al soffitto, così biancoe inutile,comela mia coscienza...». Ma tutto il libro è impietoso e lucidissimo. Oggi, invece, nonsi vede molta coscienza in giro, tra gli scrittori.
«Vero. Questo perché più aumentano le esperienze esistenziali, più si abbassa l’attenzione della coscienza, che si disperde in mille cose che perdono di significato all’istante. La letteratura ne risente. Checché se ne dica del romanzo ombelicale, non vedo scrittori che si dedicano davvero, secondo una tradizione classica,all’introspezione. Vogliono tutto e subito, come nel 1968, e anche nella scrittura: che prendano tutto, allora. Ma che poi non si suicidino. Ci risparmino almeno questo rimorso».
«Sono un reazionario», ha scritto nella postfazione al suo romanzo, dovehaanchedichiarato che ai Mondiali avrebbe tifato contro l’Italia.
«Lo sono sempre stato, reazionario, e fin da bambino. Orazi e Curiazi? Curiazi. Romolo e Remo? Tenevo per Remo. Pirro e i romani? Pirro. Annibale è stato l’eroe della mia infanzia, Radetzky quello del mio Risorgimento. L’ultima Guerra, tifavo per gli inglesi. Ad ogni modo, sono contento che la Spagna abbia battuto l’Olanda, che mi sta davvero antipatica. Povero Lippi, comunque. Mi dicono che qui a Viareggio l’abbiano preso a male parole per strada. Lui se ne infischia, ha preso il largo con la sua barca».
Ma, come lei scrive, essere reazionari serve davvero a fermare la catastrofica corsa del progresso?
«No. Soprattutto io non voglio fermare alcunché o invocare un arresto delle cose. Le persone sono abbastanza contente pur nella crisie molte sentono di vivere nel migliore dei mondi possibili, anche perché le comodità che porta il progresso sono pure dei grandi sonniferi che non ci fanno vedere la meta finale, questa catastrofica di certo».
Nei capitoli parigini del suo romanzo c’è una feroce parodia dei movimenti letterari. Oggi come la vede?
«Finiti l’esistenzialismo,lo sconsolante spettacolo del 1968 con il suo inevitabile strascico di terrorismo- che senza la tv non ci sarebbe stato, dato che qualsiasi sciocco che finiva sul piccolo schermo si sentiva un eroe- , finiti i beatnik, lo strutturalismo e il resto, vedo che non sorge più nulla.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.