Io sto con don Ruggero accusato di pedofilia e in cella senza prove

Nessuna tenerezza per i pedofili, per me va bene la macina al collo evangelica. Ma prima di appendere la pietra occorre che le accuse siano provate, e il modo per provarle in uno stato di diritto non può essere un meccanismo diabolico dove basta la diceria, l’accumulo di testimonianze senza i requisiti di scienza e coscienza necessari. Se no, basta niente e uno è morto. Specialmente se appartiene alla categoria meno di moda del mondo: il prete.
Ecco, devo dare qui una testimonianza a favore di un curato e prete da oratorio presunto pedofilo. Ho seguito passo a passo la vicenda. Avevo un pregiudizio favorevole, lo confesso. Lo conosco, ho amici che gli hanno affidato i figli per anni, ha fatto risorgere a Roma una parrocchia di estrema periferia, trasformando un lembo di deserto in una comunità di ragazzi in gamba. Si chiama don Ruggero Conti, è corpulento, ha poco più di cinquant'anni, viene dal nord. È stato abbandonato da tutti, o quasi, anche dal suo vescovo. Dai suoi ragazzi no, la sera fuori dal carcere di Regina Coeli, da sopra il Gianicolo cantano, dicono il rosario, invadendo dall'alto le celle di preghiera e di musica. Affollano in silenzio l'aula del Tribunale. Tra loro ci vado anch'io. L'ultima volta non ho resistito e me ne sono andato, dopo aver visto certi atteggiamenti del pm, nervoso, aggressivo, teorizzatore di interrogatori a minorenni senza la presenza di psicologi, di inquirenti approssimativi che non ricordavano niente. Ma avanti lo stesso, carcere preventivo, come no? I medici - anche della polizia - dicono: la permanenza in galera lo sta uccidendo. Non fa niente: deve restarci. Si cita una legge che ho votato anch’io, in Parlamento, contro chi commette abusi sessuali, pur senza la condanna. Ma così non va, siamo tornati a un sistema che sembra Guantanamo, senza nessuno che eccepisca.
Certo, uno può avere una doppia vita, un vizio segreto. Questi mesi di visite in carcere, di lettura di testi, di udienze di Tribunale, mi hanno però convinto: siamo davanti a una persecuzione inerte, a cui concorrono tanti fattori. Il primo siamo noi, è l'opinione pubblica. Ha bisogno di sentire che quando la mano viene messa sulla nuca di un accusato di reato orrendo, sia tenuto dentro, sia ritenuto colpevole a prescindere.
Non pretendo crediate a me. Il Giornale, grazie a Gian Micalessin, ha svolto un'inchiesta. È risultato che un sacerdote, respinto da più diocesi, abbia cercato di sospingere l'accusa per ragioni sue. Ci sono carte che cantano. Testimonianze a disposizione dei magistrati. Niente da fare. Resti dentro. C'è un libro straordinario sul tema della malagiustizia in materia di pedofilia e simili. È di Luca Steffenoni, si intitola Presunto colpevole, edizione Chiarelettere. Uno legge e resta sgomento. Possibile si possano verificare in Italia simili abusi in nome della volontà di purificazione dai malvagi? Ora ho sperimentato anch'io. Qualcuno faccia qualcosa. Prima che sia troppo tardi.
Il processo a don Ruggero ha per parte civile oltre alle «parti offese», un signore del Partito radicale in sostituzione del comune di Roma. E un'associazione di Modena contro la pedofilia. È benemerita, dicono molti. Ha un bilancio economico positivo, non riesce a spendere nemmeno tutti i denari che riceve (basta la parola: associazione contro la pedofilia, e chi nega fondi?). Si chiama “La caramella buona”. Chiara l'allusione. Ma a me - che da anni, con Vittorio Feltri, mi sono messo al seguito di don Fortunato Di Noto, un vero eroe antipedofilia - questo nome genera una sofferenza indicibile. Come si fa a intitolare qualcosa per il bene dei bambini con il nome di ciò che serve a rubarne la fiducia? Sarebbe come chiamare un'associazione contro l'impiccagione “Corda e sapone”. Ma tant'è, ognuno ha la sua sensibilità, e nessuno deve mettere in dubbio la buona fede del prossimo. Però questo caso di inseguimento del pedofilo è un susseguirsi di piste storte. Vedremo il processo, comunque. Però io vorrei tanto che il processo ci fosse, che non si fermasse per la morte del presunto colpevole (anzi, presunto innocente...).
Don Ruggero è uno dei pochi casi di persona che in carcere ingrassa, si gonfia. La pressione sale e scende senza ragione e nonostante i medicinali. Era stato trasferito agli arresti domiciliari. Poi richiamato in carcere per la citata legge. Unico caso in Italia. Le perizie mediche sono univoche. Incompatibile con il regime di detenzione. Uno dice: peggio per te, pedofilo. Okkei. Ma non c'è sentenza. È innocente. Non può inquinare niente, scappare non se ne parla, reiterare neppure. E allora?
Di recente era stato trasferito all'ospedale Pertini di Roma, che ha un padiglione dove ci sono le sbarre alle porte. Di nuovo a Regina Coeli, dove gli agenti sono persone eccezionali, e il direttore di più, ma sta rischiando ogni istante ictus devastanti. I giudici dicono: la legge ci obbliga a tenerlo in carcere. Ma esistono leggi che vengono prima, ed è quello di non consentire oltre alla privazione della libertà la concreta eventualità di un decesso.
Intanto i ragazzi della parrocchia continuavano a dire il rosario per don Ruggero in parrocchia. Il nuovo parroco lo ha vietato.

A questo arriva il conformismo ecclesiastico, difendono solo quelli che fanno parte del clan. O forse sono un po' esacerbato, e mi scuserete. E mi rivolgo al ministro Alfano, ai giudici della cui onestà sono certo, a Dio, anche al diavolo se necessario. No, al diavolo no, quello se la ride.

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