Ipocrisie d’Intelligence

C’è una contraddizione di fondo tra le rimostranze degli europei contro i metodi adottati dalla Cia nei confronti di elementi sospettati di complicità con Al Qaida e l’affermazione che la guerra al terrorismo deve essere combattuta soprattutto con l’intelligence. Se è vero, come è vero, che l’unico metodo per impedire ai fondamentalisti islamici di compiere nuovi attentati è di scoprire in anticipo i loro piani e bloccarli prima che passino all’azione, è assurdo che l’Unione Europea, alcuni dei suoi governi e buona parte delle sinistre del continente si indignino tanto (o fingano di indignarsi ad uso delle rispettive opinioni pubbliche) perché gli americani usano, in questa guerra preventiva, metodi poco ortodossi. Il rispetto dei diritti umani dei potenziali terroristi caduti in trappola è una bella cosa, ma se una violazione di questi diritti è necessaria per impedire un’altra New York, un’altra Madrid o un’altra Londra, invocare i sacri principi e imbastire l’ennesimo processo alla Casa Bianca sembra perlomeno un po’ ipocrita. Gli individui indiziati di appartenere ad Al Qaida che, stando alle ultime «rivelazioni», sarebbero stati rapiti, portati illegalmente in giro per l'Europa su aerei noleggiati dalla Cia e detenuti in carceri segrete in Paesi dell’Est non sono certo mammolette pronte a rivelare i loro segreti davanti a una tazza di tè.
Se, per estrarre loro informazioni utili a sventare nuovi attentati è necessario usare metodi sgraditi ad Amnesty International, a Human rights watch o al Parlamento europeo (come - quando serve per evitare guai maggiori - si fa in tutti i commissariati di polizia del mondo), bisogna accettarlo come una necessità della sporca guerra che siamo costretti a combattere. Pretendere la rigorosa applicazione delle nostre regole nello scontro con un avversario che non solo non le rispetta, ma è addirittura impegnato a distruggere la nostra società, è una forma di autolesionismo perbenista che non possiamo permetterci. Chi insorge contro i presunti misfatti della Cia nella campagna per la distruzione delle cellule terroristiche in Europa si mette sullo stesso piano dei magistrati che, spaccando il capello in quattro, basano le loro sentenze assolutorie su una distinzione tra guerriglieri e terroristi o sfruttano le inevitabili lacune delle nuove leggi per vanificare il lavoro dei servizi e delle forze dell’ordine. Non si può combattere un nemico come Al Qaida con gli stessi strumenti usati contro una banda di ladri. E, piuttosto di rischiare, per eccessivo garantismo, nuove stragi, meglio agire in base al famoso detto francese A tout fripon, fripon et demi, traducibile, nella circostanza, in un «A ogni colpo basso, rispondiamo con un colpo basso e mezzo».
Questo non significa dare luce verde alla tortura, ma semplicemente prendere atto che, come ha detto il direttore del Consiglio di sicurezza nazionale americano Stephen Hadley, «siamo tutti nella stessa barca» e che quando un membro dell'equipaggio fa del suo meglio per evitare il naufragio non è una grande idea rivoltarglisi contro. Che il nostro Commissario europeo Franco Frattini minacci addirittura di ritorsioni i Paesi dell’Est sospettati di avere fornito luoghi di detenzione segreti per i sospetti di terrorismo, prima ancora di avere verificato la realtà dei fatti, sarà magari un omaggio al «politicamente corretto», ma è sconcertante nel quadro della indispensabile collaborazione internazionale contro un nemico implacabile.
Prima di involarsi per l’Europa, dove a partire da oggi dovrà affrontare le rimostranze degli alleati, Condoleezza Rice ha detto senza mezzi termini che le informazioni ricavate dagli interrogatori contestati «hanno permesso di impedire attentati terroristici e salvare vite umane in Europa, negli Stati Uniti e in altri Paesi» e assicurato che tutto è avvenuto nel rispetto della legislazione americana e della sovranità dei Paesi coinvolti. Per buona misura, ha fatto anche intendere che chi ha collaborato con gli Usa, o perlomeno ha voltato gli occhi dall’altra parte, lo ha fatto con cognizione di causa. Chi non è asservito alla «cultura della resa» nei confronti del terrorismo islamico, o mosso da un amtiamericanismo pregiudiziale, dovrebbe accettare queste spiegazioni e chiudere una polemica che, pur ispirata da ragioni ideali, può soltanto portare acqua al mulino di Bin Laden.

Purtroppo, nella nostra Europa, troppi sono pronti ad usare ogni pretesto per mettere - direttamente o indirettamente - gli Stati Uniti nell’angolo anche quando agiscono nell’interesse comune e accentuare così i contrasti tra le due rive dell'Atlantico.

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