Ippolito Nievo fra Pindaro, Pulcinella e Goldoni

Ippolito Nievo fra Pindaro, Pulcinella e Goldoni

Dopo due iniziative (Einaudi e Mondadori) avviate ma interrottesi precocemente negli scorsi decenni, sembra che sia la volta buona per una «edizione nazionale» e completa dell’opera del padovano Ippolito Nievo. A promuoverla è la Marsilio nella collana «Letteratura universale»; la rinuncia a raggrupparla in pochi grossi tomi per distribuirla invece in volumetti maneggevoli potrebb’essere già una carta vincente.
Si comincia con due commedie, Pindaro Pulcinella e Le invasioni moderne (Marsilio, pagg. 188, euro 12, a cura di Piermario Vescovo). È ovvio che, stante la scarsissima o nulla notorietà di entrambi i testi, il lettore cerchi di orientarsi, e in questo il curatore l’aiuta, facendo perno su quello che rimane il vertice di Nievo scrittore e un capolavoro della nostra narrativa ottocentesca: Le confessioni di un italiano. A quel denso romanzo, che non è solo la vicenda amorosa di Carlino e della Pisana, resta affidata pressoché per intero la fama del Nievo, morto d’altronde talmente giovane da caratterizzarsi agli occhi dei contemporanei e della posterità come un «destino» incompiuto. Aveva trent’anni quando, all’alba del 5 marzo 1861, naufragò al largo di Capri col vapore «Ercole» salpato da Palermo, dove Ippolito, conclusasi la spedizione dei Mille, svolgeva delicati incarichi politico-amministrativi per il «governo meridionale» di Torino.
Promessa luminosa, ma quel che arrivò a darci basta a segnalare un’intelligenza straordinariamente vivida e varia nelle sue applicazioni. Stese nell’arco di neppure un anno, tra il 1857 e il ’58, Le confessioni non sono un frutto isolato; e se altri racconti e romanzi (tra i quali spicca Angelo di bontà) lo precedono, il Nievo fece poi in tempo ad abbozzarne un ultimo, Il pescatore di anime, nel quale veniva precisandosi con più concretezza quel concetto di «popolo» che in letteratura aveva a riferimento principale Manzoni e negl’ideali politici Mazzini (però nel 1860 Nievo fu con Garibaldi e trascrisse anche lui in un diario l’epica impresa partita da Quarto).
Romanzi, dunque; e racconti, ricchi di una loro materia «popolare», anzi «rusticale» (per niente arcadica), Il Varmo e altri che si dovevano raccogliere in un Novelliere campagnuolo. Ma anche tanta pratica di giornalismo, tante prove saggistiche di polemica e impegno, a specchio di un’esistenza che trae profitto dalla molteplicità delle esperienze, delle dimore: dal Friuli (dove imparò a conoscere i poveri e i contadini) a Verona, a Mantova; da Venezia a Milano, centri che gli dettero il polso di una nobiltà declinante e di una borghesia non sempre all’altezza delle necessità. Nella sua copiosa produzione in versi, il Nievo mostra d’aver tesaurizzato l’ottimo esempio del Giusti, nemico dell’ipocrisia.
Quanto al teatro, che nel 1857-58 toccherà perfino la corda tragica - e che si riproporrà anche sul tardi, se il progetto della commedia in versi Don Giovanni Tenorio è successivo alle Confessioni -, non è certo un capitolo impeccabile negli esiti formali; ma, come le due pièces del 1855-57 oggi ristampate confermano, esprime in re una posizione acerbamente critica nei confronti della drammaturgia contemporanea. Il Nievo ne stigmatizza il degradarsi (tradita la lezione goldoniana) dalla commedia alla «farsa» e alla «burattinata». Nel Pindaro Pulcinella, quasi inedito sinora, si coglie appunto la mortificazione (su falsariga autobiografica) di chi, poeta, capisce che il mondo, popolato com’è di burattini, gli chiede di farsi Pulcinella abbandonando la speranza di esser mai un Pindaro. Fra imbrogli che saranno smascherati, amanti che si uniranno di là da ogni ostacolo e apporti più o meno decisivi di “tipi” improbabili ma cari alla tradizione comica, Le invasioni moderne è una divertente-divertita rimodulazione di schemi desunti dall’immortale Goldoni. Peraltro, a dividere Nievo da Goldoni, sta, nel più giovane, la consapevolezza amara e irriducibile di una obiettiva, non colmata distanza fra «popolo» e «teatro».

Purtroppo, «fra un atto e l’altro del gran Dramma politico», denuncia il Nievo, latita quella commedia civile che i tempi esigerebbero (e che magari lui stesso ha saputo rappresentare, non nelle commedie ma in qualche pagina storica del suo romanzo maggiore).

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