Controcultura

Irène Némirovsky danza sul cuore di una ballerina

La stanca routine del palco, il timore di deludere il pubblico la paura di perdere il proprio uomo... I lati oscuri di un'artista

Irène Némirovsky danza sul cuore di una ballerina

La ballerina è truccata, pronta a entrare in scena. È sola nel suo camerino e si fa le carte. È una notte di primavera in una città del Mediterraneo. Dalla finestra aperta si vede la rada scintillante. L'aria è calda. Anche sporgendosi non riesce a sottrarsi all'odore del teatro che sa di polvere, latrine, profumi a buon mercato e bucce d'arancia. Impregna l'intero locale, crema e pistacchio come una torta a piani di un pasticciere. Lo si respira persino nei giardini che scendono verso il mare.

Le carte sono disposte a forma di croce sul tavolino della toilette, sopra un asciugamano macchiato di cipria. La ballerina le tocca rapidamente con la mano sinistra e mormora: «Amore, fortuna, successo». Le gira una dopo l'altra e il suo viso si rabbuia. A ogni domanda le carte rispondono no. Sottili gocce di sudore appaiono sul viso truccato, alla radice dei capelli neri, sulle ali del naso. Scuote la testa con impazienza. È una donna snella e leggera come un'ape. I suoi lineamenti sono spigolosi, le larghe palpebre palpitanti. Il petto e le anche sono stretti, le gambe lunghe e muscolose. Getta le carte. Come sono cattive stasera! Fortuna, amore, successo, tutto svanisce. Pensa a quel contratto sul quale contava e che non è stato possibile firmare, a Rodolphe... al pubblico così freddo, così indifferente che non la stima più, a quanto pare, che non si ricorda della sua Anita.

Contrae gli alluci magri e delicati. Il suo corpo è ansioso, stanotte, percorso da piccole ondate tremanti di fatica e inquietudine. In una notte simile, impossibile sapere in anticipo come si danzerà. Tutto dipende dal primo sguardo che s'incontra lanciandosi in scena, da un sospiro, da un sogghigno sentiti tra le file del pubblico. Lei può essere sublime, pensa, oppure scarsa, goffa, pesante, scadente in una parola, scadente. Sussurra: «Mio Dio, fammi essere brava stasera, fammi danzare bene, fammeli riconquistare, consentimi di tenerli in pugno come un tempo!». Ah, ma un tempo lei credeva profondamente in se stessa, nella sua arte. Adesso, sempre più spesso, è scoraggiata, sospetta che non sia molto importante, dopotutto, se abbia danzato bene o male, se abbia o no successo, nemmeno se il troppo giovane marito le sia fedele.

Ripete meccanicamente: «Amore, fortuna, successo», ma non ci crede più. Ecco dove sta il male.

Sente il campanello che la chiama in scena. Ancora un po' di cipria tra le sopracciglia. Ancora un'occhiata allo specchio. Il sorriso radioso e vuoto che, sera dopo sera, si offre al pubblico le compare sul volto. Corre verso il palcoscenico. Saluta. In risposta miseri applausi. Danza. Ha danzato. Ha danzato male. Rientra in camerino e, ancor prima di struccarsi, seminuda, uscita dalla sottogonna a forma di corolla che cade ai suoi piedi, ha afferrato le carte. Le contempla, le interroga con una sorta di rabbia.

Qualcuno, nel suo entourage, è una sciagura per lei, una minaccia. Lo sa. È sempre così. Si ricorda di una tournée a Parigi nella quale niente funzionava, come qui, fino a quando scoprì che una bambina che vendeva fiori all'entrata del teatro aveva su di lei un'influenza malefica, bizzarra. Un giorno, quella ragazzina scomparve. La tournée si concluse trionfalmente. E nessuno si mette a parlarle, come fa Rodolphe, di volgare superstizione, di frottole da comari. Lei sa. Ha sangue zigano nelle vene. Sa leggere i presagi, i numeri, i sogni.

Sì, le carte le diranno la verità. La dama di picche è tra il fante di cuori e il nove di quadri. È a casa sua. In passato, un passato recente, la sconosciuta le ha portato tristezza, guai, sfortuna. In futuro? Rabbrividisce. Le carte lo dicono chiaramente. Ancora da lei verrà la morte. Ma chi è? Le scruta con uno sguardo profondo e ardente. Una donna bruna, sempre alle sue costole, in casa sua...

Nel frattempo Rodolphe è entrato nel camerino. È un uomo giovane, dal bel viso indolente, freddo e dolce. Lei lo ama. Gli prende la mano.

«Sono stata brava stasera? Ti sono piaciuta?».

Risponde di sì, ma niente può rassicurarla.

Lui chiede: «Sei sola?».

«Sì, sono nervosa. Non volevo vedere nessuno. Vieni». Tornano a casa. Alloggiano non lontano dal locale, in una piccola pensione familiare, dove la troupe è riunita. Dopo lo spettacolo, si cena tardi, si gioca. Ma Anita rimane pochi attimi con i suoi compagni. Esce dalla sala comune. Si avvia verso la sua camera. Vede, nell'ombra, due sagome, molto vicine tra loro. Riconosce Rodolphe e la cameriera, quella ragazza che lei non può soffrire, una lunga creatura pallida, con i capelli fasciati di nero. Rodolphe scompare leggero come un'ombra. Se la svigna sempre così, non appena avverte che sua moglie è pronta a fare una scenata. Anita e la cameriera rimangono in piedi, faccia a faccia, e Anita guarda con odio questa ragazza silenziosa, arrogante si direbbe, e il cui viso risveglia in lei non sa quale doloroso ricordo.

Chiede:

«Il letto è rifatto?». E mentre la giovane cameriera le risponde con voce dolce e bassa, distogliendo un po' lo sguardo, Anita trasale bruscamente e pensa: «È lei che mi porta sfortuna».

Adesso riconosce il pallore, la postura inclinata, le labbra sottili, le fasce nere: la dama di picche indicata dalle carte, eccola qui! Oh, se ne deve andare, sparire! Una selvaggia avversione riempie il cuore della ballerina. E questa ragazza osava parlare a Rodolphe, provocarlo, probabilmente baciarlo e... Infame... Non riuscirà a dormire finché questa donna vivrà sotto il suo stesso tetto. Non ammette di essere gelosa: al suo guaio dà altri nomi. La sventura sarà causata da questa donna. L'hanno predetto le carte. Le carte non mentono.

Bruscamente, scende di nuovo verso il salotto e chiede di parlare al direttore dell'albergo. È un ometto grassoccio e calvo, con radi baffetti bianchi e ispidi sopra le labbra, palpebre gonfie e rosee. Sembra un porcellino d'India. È un emigrato russo, con una forte passione per la musica e la danza, innamorato di Anita. Da lui, otterrà tutto. Le bacia la mano. Che cosa desidera? La cameriera non le piace? Ma che cosa le rimprovera? Anita non può dirlo? Questa ragazza non lavora come si deve? Si tratta di qualcosa di più grave? Uno sgarbo o forse un furto? Non gli dispiace avere un pretesto per licenziare finalmente una cameriera che ha assunto all'inizio della stagione perché non prevedeva un'annata così brutta. Suona.

«È lei Rose?» dice. «Ragazza mia, lei deve fare fagotto e andarsene. Non posso più tenerla qui».

«Ma perché, signore? Che cosa ho fatto?».

«Lei ha gravemente mancato di rispetto nei confronti della Signora».

La ragazza impallidisce ancor più. Guarda Anita. Non protesta.

«Non mi sono sbagliata» pensa Anita «tra lei e Rodolphe c'è stato qualcosa».

«Ma dove andrò, signore?» dice all'improvviso la donna con un accento di rivolta e di sorda disperazione. «Dove vuole che vada? La stagione è troppo inoltrata adesso per sistemarmi altrove. Devo guadagnarmi da vivere, io. Non sono una ballerina, io. Io lavoro con le mani, con le braccia. Non deve togliermi il lavoro, signore. Non lo faccia. Sarebbe... sarebbe pericoloso, signore» disse a voce bassa.

Come tutti i deboli, per sottrarsi a una scenata, alle lacrime di una donna, diventa brutale.

«Le ho detto di andarsene» urla. «Mi aveva chiesto di anticiparle la paga del mese. Non le devo niente».

«Ma l'ho spesa, signore. L'ho spesa da un pezzo. Ho una madre ammalata. Io...».

A un tratto, tace. Va verso la porta. Si ferma sulla soglia, si gira e dice: «Non mi resta che la strada, oppure buttarmi in mare». Parla così sottovoce che nessuno è riuscito a sentirla. Guarda Anita. Finora l'ammirava, quasi le voleva bene. Rodolphe l'ha assillata troppo, è vero. Ma non le piace. Nessuno le piace. Lei ha amato un solo uomo, che è morto. Non le rimane niente, adesso. Ed ecco la minaccia della miseria. E a causa della stupidità, dell'egoismo, della durezza di un essere umano. China la testa ed esce.

Due giorni dopo, la cameriera aspetta la ballerina all'uscita del teatro. Le si avvicina e scarica la piccola rivoltella, che aveva pensato di utilizzare contro se stessa, contro la giovane donna sorridente, finalmente felice perché ha danzato bene, perché si è liberata della dama di picche (eppure anche la notte precedente le carte erano state spietate). La ballerina non ha gridato. Ha emesso una specie di sospiro sbalordito. È morta.

Un pulviscolo caldo si alza dai giardini del locale, aleggia nell'aria tranquilla offuscando la luminosità della luna.

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