Andrea Nativi
Il Pentagono conferma: gli Stati Uniti procederanno ad una sostanziale riduzione delle proprie forze in Irak nel corso del 2006. Oltre a riportare a casa i circa 20.000 soldati addizionali schierati in occasione dell'intenso periodo elettorale, è previsto il rientro in patria di 5-7.000 uomini, se possibile entro la primavera.
L'annuncio è stato fatto direttamente dal Segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, nel corso di una visita-lampo in Irak, durata appena 8 ore. Rumsfeld ha incontrato i 300 soldati statunitensi presenti a Falluja ed ha affermato che ulteriori tagli potranno essere avviati nella seconda metà dell'anno, concordando le tappe con il nuovo governo iracheno e sempre che la situazione sul terreno lo consenta.
In realtà la speranza a Washington è quella di ridurre entro la fine del 2006 la consistenza delle forze nel teatro iracheno a 100.000 unità, anche se poi prudentemente si preparano i piani per mantenere tale livello per altri quattro anni.
Rumsfeld ha anche ribadito che non c'è intenzione di costituire nel Paese basi militari permanenti, spiegando che «non siamo intervenuti in Irak per il petrolio, né per occupare il Paese, ma unicamente per dare una mano».
Per ora però un ritiro totale delle truppe Usa appare ancora solo una prospettiva a lungo termine. Attualmente sono presenti circa 158.000 soldati. Il rientro di 20.000 uomini, equivalenti a quattro brigate e unità di supporto, è appena iniziato e riporterà il totale a 138.000, ovvero il livello medio mantenuto per quasi tutto il 2004.
Lulteriore riduzione, a quota 130.000, sarà realizzata con molta prudenza e riguarderà due brigate, la 2ª Brigata della 1ª Divisione corazzata e la 1a Brigata della 1ª Divisione di fanteria, che erano già in preparazione per essere schierate in Irak con la prossima «rotazione» di uomini e reparti. In totale quindi il numero delle brigate operative presenti nel Paese scenderà da 17 a 15.
Tuttavia molti comandanti militari continuano ad insistere sulla necessità di procedere lentamente al ritiro, senza dare al nemico, la guerriglia, l'impressione di una fuga o legittimando l'idea che basti solo aspettare qualche mese per vedere le truppe americane abbandonare un governo iracheno troppo debole per reggersi autonomamente.
Ecco quindi la soluzione di compromesso, che consente all'amministrazione Bush di presentarsi alle elezioni parlamentari parziali del 2006 con una tangibile dimostrazione dei risultati ottenuti con la «strategia per la vittoria», senza però mettere a repentaglio quanto faticosamente costruito in Irak in questi anni.
In pratica una delle due Brigate in questione non andrà in Irak, ma neanche rientrerà nella sua base, in Germania: rimarrà in Kuwait, dove già si trova, fungendo da riserva di pronto impiego, immediatamente disponibile ad affrontare qualsiasi emergenza. Ma nei prossimi mesi potrà, uno scaglione alla volta, essere davvero ritirata. Quanto alla seconda unità, una parte del suo personale andrà in realtà in Irak, ma svolgerà compiti di addestramento, di supporto logistico e sostegno in favore dei reparti dell'esercito iracheno.
Il Generale James Conway, direttore delle operazioni dello stato maggiore della difesa statunitense, ha spiegato che nel corso del 2006 aumenterà il numero dei consiglieri americani che continueranno ad affiancare i reparti iracheni, dai battaglioni fino alle divisioni: 2.500 tra soldati, sottufficiali e ufficiali americani continueranno ad assistere le nuove forze irachene, garantendo il necessario supporto di fuoco, quello logistico e i trasporti e aiutando i comandanti iracheni a svolgere compiti sempre più impegnativi.
Ma a Centcom, il comando americano responsabile per Afghanistan e Irak, si è ben consci che dopo quasi tre anni di impegno militare ed oltre 2.100 caduti, non è possibile correre rischi anticipando i tempi del ritiro, anche se l'opinione pubblica americana è stanca di questa guerra.
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