In Irak scoppia di nuovo la guerra. Per il pallone

Lo chiamavano calcio, ma era anche l’ultimo baluardo dell’unità nazionale. Nei giorni più cupi e sanguinosi della guerra civile le partite della squadra di calcio irachena erano l’unico evento capace di far piangere o esultare sciiti e sunniti, l’unica manifestazione capace di risvegliare o deprimere l’intero Paese. Ora quello stesso sport rischia di resuscitare rancori e odi mai sopiti.
Le premesse per una spietata guerra combattuta nel gioioso segno del pallone ci sono tutte. L’ultima pericolosa scintilla scocca domenica scorsa quando una ventina di soldati di un’unità speciale fanno irruzione nei locali della Federazione Calcio irachena di Bagdad. Ai pochi terrorizzati presenti il comandante dell’unità esibisce i documenti del governo che autorizzano il blitz e chiedono l’immediato arresto per corruzione del presidente Hussein Saed e di tre alti esponenti. Quell’incursione autorizzata o voluta dal premier Nuri Al Maliki sembra a molti il preambolo dello scontro finale destinato a spingere il Paese verso l’abisso o la ricomposizione. Tutto si gioca oggi ad Erbil, il capoluogo curdo lontano dall’atmosfera infiammata e virulenta di Bagdad. Lì i delegati del calcio iracheno sono chiamati a eleggere il nuovo presidente della federazione. Uno dei due favoriti è proprio il presidente uscente Hussein Saeed, l’altro è Falah Hassan. Dietro a quei due nomi si celano le stesse divisioni che da quattro mesi impediscono al premier uscente Maliki e ad Ayad Allawi, il vincitore delle elezioni di marzo grazie all’alleanza con i sunniti, di formare un governo. Ma il calcio amplifica le rivalità ben più della politica e così molti considerano il risultato del voto di oggi ben più pericoloso di quello delle legislative di marzo. Anche perché i due candidati alla carica di presidente della federazione calcio hanno un ruolo che va ben oltre i campi da gioco. Il candidato Falah Hassan è stato scelto per consegnare al premier Maliki e alla maggioranza sciita il controllo della federazione. Il suo rivale Hussein Saeed è, invece, il simbolo dello status quo e dell’egemonia esercitato sul calcio dalle élite sunnite. Più che un simbolo Saeed è un gattopardo strisciato con totale indifferenza dall’epoca d’oro del calcio iracheno governata dallo psicopatico figlio di Saddam Uday al dopo dittatura. Certo i «tituli» di Saeed non sono poca cosa. Grazie alle 126 partite in maglia irachene l’ex campione è tra i primi dieci posti nella classifica Fifa dei giocatori con maggiori presenze in nazionale. Il suo cursus honorum è contrassegnato però anche da incarichi assai imbarazzanti. Per la maggior parte degli sciiti Saeed è un ex-campione cinico e spregiudicato trasformatosi, dopo l’addio ai campi di gioco, in uno zelante collaboratore di Uday.
Il timore di poter pagare con la vita l’infamia di quegli anni bui al fianco del figlio del dittatore hanno spinto Saeed a passare gran parte del proprio tempo in Giordania. Nonostante una presenza limitata alle occasioni ufficiali lo spregiudicato presidente mantiene però un ferreo controllo sulla federazione, continua a garantire gli interessi sportivi dei suoi alleati sunniti e conserva l’appoggio dei vertici della federazione internazionale.
Tutto ciò suscita non poca rabbia fra gli sciiti sempre pronti a rinfacciare al loro premier di non aver ancora saputo liberarsi di quel fossile dell’era Saddam. L’offensiva del governo concretizzata dal blitz negli uffici della federazione rischia però di rivelarsi assai controproducente. La Fifa, vicina al presidente Saeed, ha già avvertito che ulteriori interferenze governative potrebbero comportare la messa al bando della nazionale irachena da tutte le competizioni internazionali.
Con la scusa d’impedire ulteriori intromissioni e garantire l’incolumità dei due delegati mandati a osservare le elezioni di domani la Fifa ha, inoltre, preteso lo spostamento del voto da Bagdad al più tranquillo capoluogo curdo. La tranquillità dei delegati Fifa non coincide però con quella del popolo iracheno.

Da domani sera la battaglia tra Saeed e lo sciita Hassan rischia di trasformarsi in una nuova prima linea capace di cancellare i tentativi di riconciliazione nazionale e gli sforzi dispiegati nei difficili mesi del dopo elezioni per cercar di mettere assieme un governo d’unità nazionale.

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