Iran, 8 anni alla giornalista Usa: «È una spia»

Sacrificata sull’altare dei falchi, processata e condannata come spia per arginare l’onda lunga della distensione e bloccare le aperture diplomatiche dell’America di Obama. La 31enne Roxana Saberi sognava solo di fare la giornalista. Voleva riscoprire le proprie origini, raccontare la nazione abbandonata dai suoi genitori dopo la rivoluzione khomeinista. Ora è una prigioniera, una vittima dello scontro tra i suoi due Paesi, tra l’America dei suoi natali e l’Iran delle sue radici.
Per liquidarla come spia e condannarla a otto anni di carcere i giudici di una corte rivoluzionaria, riunita qualche giorno fa a Teheran, impiegano solo poche ore. Tutto è già deciso. Quella ragazza sventata, quell’ex reginetta di bellezza diventata la collaboratrice da Teheran della Bbc, di Fox News e della radio pubblica statunitense, lavora da tre anni senza uno straccio di accredito. Nel 2006 le autorità iraniane le hanno ritirato la tessera giornalistica, l’hanno messa nella condizione di abbandonare la professione e tornare negli Stati Uniti. Roxana non s’è arresa. L’ex miss Dakota 1998, finalista nel 1999 al titolo di Miss America, è rimasta lì, ha continuato a fare il suo mestiere fino a quando a gennaio non è stata arrestata. Inizialmente nessuno conosce il motivo del fermo. Tutto forse scatta dopo l’acquisto illegale di una bottiglia di vino, come racconta Roxana al padre Reza volato in Iran per assisterla.
Non appena il presidente Obama propone i primi colloqui diplomatici d’alto livello in 30 anni quella giornalista dalla doppia nazionalità diventa una pedina strategica, un macigno da scagliare sulla strada di chi da Washington tenta il riavvicinamento. Per molti osservatori la concatenazione è fin troppo evidente. Quel processo a porte chiuse, quella condanna senza precedenti per un cittadino con doppia nazionalità arriva a una settimana dalle aperture della Casa Bianca e dimostra la volontà dei falchi del regime di impedire qualsiasi riavvicinamento.
A rendere tutto più sospetto contribuisce il silenzio delle autorità. La notizia della condanna, diffusa ieri dall’avvocato della giornalista, non è stata confermata dal potere giudiziario. Le uniche dichiarazioni ufficiali sul caso risalgono all’inizio di questo mese, quando il viceprocuratore di Teheran Hassan Haddad ha accusato Roxana Saberi di «attività di spionaggio sotto la copertura giornalistica». Secondo Reza Saberi, padre della reporter, la sentenza si basa su una falsa confessione estorta a sua figlia in cambio della promessa di un immediato rilascio. «Quella prima confessione era completamente falsa, quando sono andato a farle visita Roxana mi ha detto di esser stata ingannata, mi ha raccontato che le avevano promesso di liberarla se collaborava».
Se la ragione di Stato richiede un immediato attrito con Washington, le promesse possono però venir cancellate.

Lo scorso 31 marzo il segretario di Stato Hillary Clinton aveva scritto alle autorità iraniane chiedendo il rilascio della giornalista, il permesso d’espatrio per una studente con doppio passaporto bloccata nel Paese e notizie sulla sorte di Robert Levinson, un ex agente dell’Fbi scomparso due anni fa mentre si trovava sull’isola iraniana di Kishm. Ora la condanna della Saberi suona come uno schiaffo alle richieste di Hillary. Il primo sgambetto, insomma, al segretario di Stato incaricato di spingere l’Iran sulla strada della trattativa.

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