di Livio Caputo
LUnione Europea ha varcato il Rubicone. Dopo settimane di negoziati, i 27 hanno deciso di sfidare la minaccia iraniana di chiudere lo stretto di Hormuz e varato le prime sanzioni petrolifere contro la Repubblica islamica: nessun nuovo contratto per lacquisto di greggio e di prodotti petroliferi e petrolchimici e rescissione di quelli vecchi entro il primo luglio. Per lEuropa, significa rinunciare al 6% del proprio fabbisogno, cui si pensa di rimediare aumentando le importazioni da Arabia Saudita ed Emirati. Per lIran, comporta un taglio del 20% delle proprie esportazioni, che difficilmente gli ayatollah potranno compensare aumentando le forniture ai Paesi asiatici - fin dora i loro principali clienti - viste le pressioni che gli Stati Uniti stanno esercitando sugli alleati Giappone e Corea del Sud e perfino su Cina e India. Per piazzare il greggio che lUe non comprerà più, dovranno offrirlo a prezzi stracciati. Un altro colpo gravissimo per Teheran è il congelamento delle risorse della Banca nazionale iraniana, attraverso la quale si svolge buona parte del suo commercio estero, nellUnione Europea.
Lobbiettivo di Bruxelles, che agisce in stretto concerto con Washington, è sempre lo stesso: convincere la Repubblica islamica a riaprire, su basi serie e non solo per guadagnare tempo, le trattative per fermare la sua corsa verso larma atomica. Nessuno nega agli iraniani il diritto di dotarsi di unindustria nucleare a uso pacifico, ma se vogliono evitare di essere messi con le spalle al muro, o addirittura di vedere distrutte le proprie installazioni per larricchimento delluranio da un attacco preventivo, devono smettere di ingannare la comunità internazionale truccando i dati e costruendo impianti segreti nel cuore delle montagne.
La prima reazione di un portavoce di Teheran è stata di reiterare la minaccia di chiudere Hormuz, attraverso il quale passa il 20 per cento del petrolio mondiale. LOccidente ha risposto facendo varcare lo stretto alla portaerei «Lincoln», scortata da unità americane, inglesi e francesi. Visto che Hormuz è largo in tutto 60 chilometri, e che per evitare i bassifondi tutte le navi transitano attraverso due canali paralleli dellampiezza di due miglia ciascuno, lIran è tecnicamente in grado di chiuderlo: può minarlo, ricorrere alle motosiluranti dei pasdaran o aprire il fuoco con le batterie missilistiche costiere. La risposta, tuttavia, sarebbe immediata e devastante, anche perché Obama, in piena campagna elettorale e incalzato da candidati repubblicani molto più bellicosi di lui, non può permettersi ritirate. Se gli ayatollah si illudono che unAmerica indebolita dalla crisi e ammaestrata dalla lezione irachena faccia buon viso a cattivo gioco, si sbagliano di grosso.
È perciò difficile prevedere come Teheran reagirà in pratica alle nuove sanzioni. La situazione è resa più complessa dal duro confronto in corso tra la Guida suprema Khamenei e il presidente Ahmadinejad in vista delle elezioni legislative di marzo. Al momento sembra che il primo, spalleggiato dallestablishment religioso, propenda per lo scontro, mentre il secondo avrebbe adottato una linea più possibilista. Entrambi gli schieramenti devono peraltro tenere conto delle condizioni disastrate delleconomia, che una chiusura di Hormuz metterebbe definitivamente in ginocchio: inflazione alle stelle, rial svalutato del 60% in un anno, carenza di molti beni di consumo.
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