Iran e Hezbollah dicono subito no

Israele approva con cautela, l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) lo fa senza riserve, mentre anche gli islamico-radicali di Hamas vi scorgono insoliti spiragli. Sono queste, lungo la linea del fronte dell’eterno conflitto israelo-palestinese, le reazioni al discorso tenuto dal presidente americano al Cairo. Il commento più atteso, quello del governo israeliano, arriva per ultimo, segno delle difficoltà di arrivare ad una sintesi di posizioni diverse.
Alla fine, dopo una riunione ad hoc, l’ufficio del premier, Benyamin Netanyahu, ha partorito un comunicato nel quale ha definito «importante» l’intervento di Obama e ha manifestato «la speranza» che possa contribuire «davvero a una nuova era di riconciliazione fra il mondo arabo e musulmano e Israele». Precisando che Tel Aviv farà la sua parte, «compatibilmente con i suoi interessi nazionali e di sicurezza». Parole lontane dall’entusiasmo del vecchio presidente Shimon Peres, che definisce il discorso «coraggioso e pieno di visione». Sentimenti che tracimano in furore nel caso dei coloni (i cui insediamenti sono nel mirino della Casa Bianca), secondo i quali Barack Obama non è altri che un «Hussein Obama» sensibile alle «bugie degli arabi». Ma non sono solo i coloni a guardare con sospetto alla strategia americana nell’area: secondo un sondaggio pubblicato ieri da Ynet - l’edizione online di Yedioth Ahronoth - il 60% degli israeliani non si fida di Obama.
«Un discorso storico» improntato al superamento dell’era Bush e alla «chiarezza sulla soluzione dei due Stati e sul rifiuto della colonizzazione», ha detto Nemer Hamad, consigliere per la stampa del presidente dell’Anp.
«Un inizio di cambiamento», gli ha fatto eco il portavoce del governo di fatto di Hamas nella Striscia di Gaza, Taher Nunu, non nascondendo un certo scetticismo sui «punti ancora non chiari» e su «certe contraddizioni», sottolineando però i segnali di «discontinuità rispetto alla politica di George W. Bush» e auspicando un dialogo con la nuova amministrazione.
Dagli altri fronti caldi per la diplomazia Usa arrivano commenti tra l’indifferente e il gelido. Il partito sciita libanese Hezbollah, ad esempio, non ha trovato nessuno spunto interessante nelle parole di Obama. «Quel che abbiamo sentito, è un discorso che non contiene alcun reale cambiamento di posizione nella politica regionale americana», ha detto Hassan Fadlallah, deputato del partito filo-siriano e filo-iraniano.
Da Teheran, la guida suprema Ali Khamenei ha liquidato il discorso come «non sufficiente», aggiungendo che Washington dovrà compiere «passi concreti».

Questo, nonostante l’apertura fatta da Obama, il quale ha fatto ammenda - primo tra i presidenti americani - per il ruolo degli Stati Uniti nel colpo di stato che portò al potere in Iran Reza Pahlevi. Lo sforzo di cambiamento dell’amministrazione Usa, ha detto Khamenei, non può ridursi «ad una serie di slogan».

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