«Irresponsabile chi riscrive la storia della guerra»

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Bush si difende e contrattacca. In un discorso ai militari in occasione del Veteran Day, il presidente ha preso per le corna l’accusa più recente e più grave contro la sua politica in Irak: la «falsità» delle motivazioni. La sua allocuzione, durata oltre tre quarti d’ora (quasi un record per lui) davanti a una platea tutta in uniforme nella base militare di Tobyhanna, a Wilkes-Barre, in Pennsylvania, si è centrata negli ultimi minuti, in una polemica in parte dura contro i sempre più numerosi critici. «Mettere in discussione come viene condotta la guerra è perfettamente legittimo. Accetto le responsabilità e le conseguenze che derivano da quella mia decisione. È invece profondamente irresponsabile chi vuole riscrivere la storia del nostro intervento in Irak».
Riprendendo le accuse e le insinuazioni secondo cui la Casa Bianca avrebbe deliberatamente manipolato le informazioni sul supposto arsenale delle «armi di distruzione di massa» di Saddam Hussein per «vendere» all’opinione pubblica la decisione di attaccare. «Questi critici sanno bene che una commissione di inchiesta bipartitica si è occupata dell’argomento e non ha trovato nessuna prova di falsificazione dell’intelligence o di pressioni politiche a questo fine». Bush ha anche ricordato che «la decisione di attaccare e di liberare l’Irak ebbe un largo sostegno in Congresso, compresi oltre cento senatori e deputati democratici, che avevano accesso alle mie stesse informazioni». E, con un gesto senza precedenti, Bush ha citato come «teste a discarico» il suo rivale nella campagna elettorale del 2004, John Kerry, che votò a favore dei «poteri di guerra» e più tardi lo spiegò con il fatto che «le informazioni raccolte dai servizi segreti indicavano un chiaro e immediato pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti». «Kerry - ha insistito Bush - aveva a disposizione le mie stesse fonti. Adesso alcuni democratici e critici della guerra mi accusano di averle manipolate. Si tratta di attacchi senza fondamento e la posta in palio nella guerra contro il terrorismo e gli interessi nazionali in gioco sono troppo alti perché i politici lancino accuse false».
Nelle stesse ore, in Italia, il premier Silvio Berlusconi respingeva le accuse della sinistra sul coinvolgimento del Sismi nel Niger-gate. «Lo ripeto: l’accusa che l’Italia abbia partecipato al Niger-gate è assolutamente falsa, è una bufala», ha detto Berlusconi, sottolineando come gli attacchi della sinistra al governo «denotino un comportamento anti italiano e irresponsabile».
Bush intanto contrattacca, ma soprattutto si difende. Quasi tutti gli osservatori lo considerano un «segno di debolezza». Certamente il capo della Casa Bianca risponde a una urgenza. Se si è deciso a prendere Kerry a testimone della propria buona fede lo fa perché lo ritiene necessario. Il dato più preoccupante degli ultimi sondaggi, infatti, non riguarda l’indice di approvazione della sua presidenza, ma quello che è sempre stato il principale argomento in suo favore, l’integrità personale. Secondo dati rilasciati 24 ore fa, solo 42 americani su 100 hanno risposto sì alla domanda se George Bush sia «onesto». Quanto all’Irak Bush ha ribadito che, invece, i progressi ci sono, «lenti ma continui» insistendo di nuovo sul fatto che la maggioranza dei cittadini iracheni ha partecipato alle elezioni per l’assemblea costituente e poi al referendum di ratifica «e si appresta a fare la stessa cosa eleggendo il 15 dicembre un governo democratico». Il presidente si è sforzato una volta di più di presentare la missione in Irak nel quadro più vasto della «guerra al terrore». Senza riferimenti diretti a Saddam, egli ha ripetuto che «gli Stati che in qualche modo aiutano i terroristi sono responsabili quanto questi ultimi». E si è riferito in particolare alla Siria. La parola d’ordine continua a essere «una strategia per la vittoria», stampata anche a grandi lettere su uno striscione dietro il podio da cui Bush ha parlato. La strategia include l’impegno a «non mollare». Il ritiro delle truppe americane potrà avvenire solo quando il governo di Bagdad avrà la forza per difendersi da solo dai terroristi. Non è una affermazione nuova, ma suona oggi con particolare urgenza, perché fino a poco tempo fa nessuno avanzava seriamente l’idea di richiamare a casa le truppe. Proprio Kerry ha proposto di ritirare nei prossimi mesi un quarto del contingente.

Idea respinta seccamente dal più autorevole senatore repubblicano, John McCain («proprio perché le cose non vanno bene, semmai, dovremo mandarci dei soldati in più»), ma rilanciata, ad esempio, da Lawrence Korb, repubblicano e vicesegretario alla Difesa nel governo Reagan. Sono questi accenni di dissidenza che spronano Bush a riprendere l’iniziativa per contenere la erosione della fiducia popolare.

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