ISABELLA FERRARI «Il mio desiderio? Scrivere in un libro la mia vita da film»

L’attrice si confessa: «Ho alle spalle vent’anni di cinema e tv ma è il teatro a rendermi orgogliosa»

da Roma
«Adesso prenderei volentieri un mojito» dice Isabella Ferrari al bar dell’hotel de Russie. L’intervista è finita e lei finalmente si rilassa. «Non mi è mai piaciuto farle - spiega - mi imbarazza parlare di me. Se c’è un film, una serie televisiva da lanciare, naturalmente mi assoggetto, è una routine, ma raccontarmi mi costa un po’, anzi è una pena. Questa è la prima intervista morbida che faccio...». Davanti a lei c’è una teiera vuota, «no, non un tè freddo, un bel tè caldo» aveva ordinato un’ora fa, in un pomeriggio romano da più di trenta gradi all’ombra. Alla mia richiesta di un bellini gelato aveva sorriso come una bambina: «Bravo, ecco quello che ci vorrebbe, ma ho questo mal di pancia, meglio non rischiare». Sui divanetti dell’albergo, oltre noi due, poco lontano, un quartetto di professionisti incravattati con quei nodoni alla Battistoni che fanno tanto Montecitorio e dintorni. Ciarlieri e ridanciani quando ero ancora da solo, se ne sono stati quieti da quando lei è arrivata. Che Isabella Ferrari sia bella, lei lo sa, io lo so e loro lo sanno, per cui non è il caso di insistere. Che sia anche brava lo dice una carriera più che ventennale, il calore e l’affetto del pubblico, una Coppa Volpi al Festival cinematografico di Venezia, un premio Flaiano per la televisione e un altro, proprio di questi giorni, per il teatro. «Ah sì, questo è un riconoscimento a cui tengo moltissimo. È per la mia interpretazione in Due partite di Cristina Comencini, una pièce tutta al femminile, quattro donne degli anni Sessanta, io, Margherita Buy, Marina Massironi, Daniela Milillo, che si raccontano, e poi le loro figlie, sempre noi, che si confrontano, per scoprire che al fondo i problemi sono sempre gli stessi, gli stessi desideri, le stesse malinconie. Si ride molto, sa, è un testo che destabilizza completamente gli uomini, perché poi voi di noi non sapete nulla, vi create un’immagine che con la realtà vera non ha niente a che vedere... È stato un successone, camionate di donne ogni sera, e sì che l’avevamo montata in tutta fretta, un po’ per sfida. È un testo vero, sentito, tanto che mi piacerebbe un domani recitarlo a rotazione, scambiarci ogni sera di ruolo... Debbo dire che il teatro mi affascina, ciò che ricevi dalla platea come risposta e come attenzione è un qualcosa che quasi fa paura... E poi, e qui la Comencini è stata un genio, ho un ruolo comico, faccio ridere, un lato di me sconosciuto e che pure è mio».
In vent’anni di carriera Isabella Ferrari ha imboccato tante strade e quando sembravano andare bene, di colpo ha svoltato per prenderne altre. È stata l’icona dei teenagers in Sapore di mare, la ragazza pesta di Appuntamento a Liverpool, il commissario Scalise di Distretto di polizia, Ondine di Giroudoux a teatro, la seduttrice di Amatemi, e ora si parla di lei per un’Anna Karenina televisiva. «Guardi, spiegare il mio percorso è complicato, proprio perché apparentemente non c’è un filo logico. Innanzitutto, difficilmente mi capita di proporre qualcosa, e se lo faccio è raro vada in porto. Anna Karenina, per esempio, è un mio desiderio, ma oltre questo non c’è niente. Mi affascina l’idea di una Karenina moderna, gli sceneggiati televisivi in costume sono sempre un po’ trash, a meno che non siano come quelli di una volta... Mi hanno fatto vedere un’ipotesi di sceneggiatura dove il romanzo di Tolstoj è praticamente fatto a fette, interi blocchi tagliati via, ma allora che senso ha, meglio non farlo... Contemporaneamente, c’è stato un momento professionale della mia vita in cui dicevo sì a tutto, a prescindere, insomma. In dieci anni ho fatto tre serie televisive, ho fatto anche tre figli, ho sempre lavorato, è stato un po’ un massacro... E così ora dico no a tutto, sempre a prescindere... Detto questo, debbo anche dire che quello che lei chiama prendere un’altra strada è qualcosa di molto mio, è frutto di un istinto di pancia, da contadina quale sono. Ogni volta che mi è capitato di toccare il successo non è mai stato quello il momento più bello, ma casomai il più doloroso.. Mi sentivo e mi sento molto meglio quando me ne sto nel mio brodo di curiosità, di ricerca, di voglia di stare al mondo... Non ho fatto film per anni perché non c’era una proposta che mi convincesse, ho dato un taglio alla televisione per lo stesso motivo... E ora mi ritrovo nella condizione ideale di fare solo ciò che mi interessa... Naturalmente, devo lavorare, farò un film corale con Ferzan Ozpetek, Saturno contro, un’altra fiction televisiva, Liberi di giocare, su un tema che sento, le carceri, il problema dei detenuti, il rapporto fra chi sta di qua e chi di là delle sbarre, ma quello che voglio dire è che non ho mai pianificato una carriera, ho sempre fatto e disfatto senza una logica, e però dietro c’era un senso, non so se sono stata chiara...».
L’impressione è che, arrivata a quarant’anni, Isabella Ferrari sia più in pace con se stessa. «Senz’altro. Anche questa intervista sui “sogni nel cassetto”, sui desideri da realizzare, insomma, in altri anni non l’avrei fatta, e però, adesso, la cosa che mi fa sorridere è che non ho alcun sogno professionale, di lavoro intendo, in fondo dal lavoro ho avuto quello che volevo, fa parte della mia vita, come i miei figli, ma l’uno e gli altri non sono tutta la mia vita... È come avere una seconda giovinezza e dirsi è solo tua, vedi di giocartela sino in fondo. Viaggiare, ecco quello che mi piacerebbe. Banale no, uno pensa agli attori sempre in giro per il mondo... Be’, io non ho mai viaggiato, non ho visto il mondo, non l'ho visto, non ho visto niente. Per anni ho avuto paura dell’aereo, si immagini, e poi c’era questa ansia di fare... Così, adesso c’è solo l’imbarazzo della scelta, l’India per prima cosa, poi un coast to coast negli Stati Uniti, tutto quello che si fa a vent’anni....e dopo, naturalmente, l’Africa. Ma qui non solo per vedere, mi piacerebbe fare qualcosa di pratico, studiare qualche progetto di intervento, di aiuto, è un’idea che mi dà soddisfazione ed energia, lo spendersi per gli altri, per chi ha più bisogno. Ecco, cose così, un po’ infantili forse, e però fatte con un occhio più maturo, meno epidermiche insomma».
Davvero nulla di professionale, insisto. Dalla sua sacca fa capolino un libro, Piccoli crimini coniugali di Emmanuel Schmitt... Lei si illumina quando glielo cito e un po’ si rabbuia quando le dico che l’ho visto recitato al Piccolo, lo scorso autunno, da André Jonasson. «Ah, mi è sfuggito. Il testo è bellissimo, comunque, molto ironico anche, certo che mi piacerebbe farlo, però non è un sogno vero e proprio è una cosa che mi stimola sì, ma tutto qui. Mi interesso di più a me stessa come persona che non come attrice, non c’è un regista per cui mi strapperei i capelli, un ruolo per cui farei follie. Non so, forse ci vorrebbero più donne a fare questo mestiere, e non dico solo come attrici, come registe, lo dico anche come produttrici, un occhio e un’attenzione più femminili. È un’impressione, e forse anche un’esigenza. Lo scorso anno ho girato un film, Amatemi, ho avuto buone critiche, ma non è andato benissimo, sta avendo successo adesso che lo passano su Sky. Bene, era una sorta di L’uomo che amava le donne al femminile, e questo per una mentalità maschile è spaventoso, la seduttrice al posto del seduttore... Nessuno mi toglie dalla mente che se ci fosse stata una donna a produrlo, sarebbe andata diversamente. Ecco, produrre un film mi piacerebbe, ma non un film qualsiasi. Sì, sotto questo profilo lei ha ragione, un sogno professionale c’è, anche se poi è molto personale e finora non ho mai avuto il coraggio di dirlo, di tirarlo fuori. Mi piacerebbe scrivere una storia autobiografica, una specie di vita vissuta, un autoritratto con molta tenerezza per quella che ero, con la pace per quello che sono, divertirsi invecchiando, ancora e sempre curiosa.

Una volta scritta, e se si prestasse a divenire una storia cinematografica, non mi interesserebbe né recitarla né dirigerla, però produrla sì. Ci metterei tutte le mie energie, è un qualcosa che farei a passo di carica, se io mi fisso su una cosa sono inarrestabile. Uff, l’ho detto... Adesso sì che berrei volentieri un mojito».

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