Ragazzo Gilad Shalit, forse ti rivedremo presto a casa, dinoccolato, pallido, chissà se ce la farai a tornare a essere quel timido secchione di buona famiglia dopo cinque anni e più, dal 25 giugno del 2006, nelle mani di Hamas, chissà in quale cunicolo di Gaza, chissà che cosa ti hanno fatto, se lo potrai mai raccontare. Ma torna, torna a casa, e ora facciamo presto, prima che qualcuno ci ripensi: così in queste ore sospira e grida tutta Israele che aspettava la conferma ieri notte della decisione del gabinetto convocato d’urgenza da Benjamin Netanyahu per la decisione della più importante fra tutte quelle prese durante la sua cadenza.
La notizia ormai è su tutti i siti, la radio e la tv parlano solo di questo: Bibi ha detto che «si è aperta la finestra di un accordo storico». A Gaza una fonte legata ai mediatori egiziani della trattativa col gruppo islamista ha detto all’agenzia Reuter che un accordo è stato raggiunto per uno scambio che avrà luogo nei prossimi giorni. Khaled Mashaal, il capo del gruppo terrorista, dovrebbe fare un annuncio ufficiale nelle prossime ore, e intanto la gente di Gaza è scesa nelle strade e spara di contentezza, come è uso da quelle parti, perché si appresta a festeggiare lo scambio. É felice perchè è previsto che saranno consegnati in cambio di Shalit mille prigionieri palestinesi, e forse fra questi anche Marwan Barghouty, il capo dei tanzim condannato a cinque ergastoli per tutti gli attentati terroristici che hanno seminato cadaveri di civili a Gerusalemme.
Liberare mille prigionieri graditi a Hamas, con le liste compilate insieme ai loro boss, significa ritrovarsi ben presto attentati terroristici rinnovati, feroci, significa che Hamas avrà un formidabile successo politico rispetto anche ad Abu Mazen, ed anche che i figli, i genitori, gli amici dei delinquenti liberati piangeranno e protesteranno prima ancora che questo avvenga.
Ma Israele non abbandona mai un suo soldato, è una promessa che in un Paese democratico con meno di sette milioni di abitanti il governo deve fare senza compromessi e senza obiezioni ai genitori che altrimenti prima o poi si stenderebbero sulle strade per non far partire i loro ragazzi di diciotto anni, maschi e femmine, tutti quanti, per le destinazioni più pericolose, in quella incredibile avventura che è essere un ragazzo israeliano, curato e cresciuto come un prezioso virgulto occidentale, e poi trascinato nel vento del confine con nemici terribili, Hamas, gli Hezbollah, i siriani... Gilad proprio sul confine di Gaza è stato rapito a 20 anni, figlio di Noam e Aviva, che hanno espresso la loro ostinata, decisa, educatissima determinazione a riavere il loro bambino a casa piantando una tenda sotto l’ufficio del primo ministro, vivendovi giorno per giorno, marciando per tutte le strade d’Israele, andando in visita all’estero da ogni capo di stato amichevole, mettendo in piedi un infaticabile movimento. Gilad è divenuto il figlio di tutti, gli sono state dedicate canzoni. Quando, se Hamas non tradisce, tornerà a casa, la gioia sarà quella di ricevere indietro un figlio perduto.
Israele ha già fatto parecchi scambi pazzeschi, per tre soldati nel 1985 consegnò 1150 prigionieri, per tre corpi di soldati uccisi e uno strano commerciante druso e israeliano, 450 nel 2004, e poi per i corpi di Eldad Regev e Ehud Goldwasser, rapiti in Libano, consegnò agli Hezbollah alcuni fra i più orridi terroristi che si possano immaginare, fra cui Samir Kuntar, che uccise una bambina a colpi di calcio di fucile. Netnayahu ha dichiarato personalmente a Noam e Aviva che l’accordo è quasi concluso. Di certo hanno pianto tutti e tre insieme.
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