Israele deluso da Obama cerca nuovi amici

È la nostra prima Pasqua nel mondo post americano, e da Gerusalemme si vede molto bene. Mentre tutti i media si entusiasmano a un punto tale dell’impostazione pacifista di Obama da averlo gratificato di un applauso alla conferenza stampa di Londra, il mondo intero tuttavia cerca di affrontare una realtà percorsa, per motivi ideologici o di interesse, da invincibili correnti di ostilità in cui tuttavia l’America sembra posare lo scettro. È uno strano tempo di brutalità e minuetti, un ponte sospeso e dondolante. Un esempio mediorentale: ieri Hassan Nasrallah, il capo degli hezbollah, dopo che cinquanta uomini ritenuti suoi sono stati accusati dai servizi segreti di Mubarak di preparare attentati sul suolo egiziano e passaggio d’armi iraniane verso Gaza, ha ammesso, persino attaccando Mubarak perchè non aiuta “la resistenza” di Hamas, che uno degli arrestati è un leader hezbollah in azione sul territorio egiziano. Se ne è vantato.
È uno scontro di esplicita violenza che mostra senza veli la faglia sciita-sunnita. Tutto ciò mentre gli inglesi, certo consigliati dagli Usa, cercano pubblicamente un colloquio con Nasrallah, che pone condizioni. Intanto Ahmadinejad dice al settimanale tedesco Der Spiegel che è pronto a colloqui solo se verranno riconosciute con rispetto le sue scelte, ovvero la sua strada atomica. E non si è dimenticato di aggiungere il marchio di fabbrica: tutto il popolo tedesco odia Israele, ha affermato. Tutto questo a pochi giorni di distanza dall’annuncio di grandi, irreversibili, progressi nucleari mentre Obama si accinge al colloquio. Questa aggressività serve a mettere i segnaposto al tavolo mondiale mentre si cerca la propria sedia. Così pure il missile nord coreano, o il florilegio di mostruose violazioni di diritti umani ovunque, come la legge afghanistana prostupro, il sostegno di Bashir da parte araba ecc. Tutti ci provano. E se ad ogni minaccia, la risposta è un allontanamento americano da coloro, democrazie o paesi musulmani moderati, che erano abituati a essere difesi, se Obama simbolicamente, quasi si genuflette davanti al re saudita o dice stranamente che l’Islam nella storia ha aiutato gli Usa, gli abbandonati cominciano a cercare un rifugio.
L’Egitto, il Golfo, la Giordania, non si sentono tranquilli di fronte ai nuovi colloqui con l’Iran mentre l’Iran li minaccia uno a uno col nucleare; l’Irak dopo la visita in cui Obama non ha fatto promesse chiare per la sua democrazia è certo confuso. L’uscita del ministro della Difesa Robert Gates, dopo il lancio del missile a tre stadi di Pyongyang, che «gli Usa sparerebbero solo se il missile fosse diretto contro il territorio americano» deve aver preoccupato il Giappone, l’idea ripetuta da Obama che l’India col suo rifiuto di passare il controllo del Kashmir ecciti il terrorismo proveniente dal Pakistan, la sensazione creatasi durante il viaggio in Europa che gli Usa siano interessati soprattutto a disinnescare la corsa agli armamenti e a evitare ogni traccia di nuova Guerra fredda induce certo negli ex satelliti un senso di abbandono.

Israele, mentre Netanyahu si prepara a visitare Obama alla Casa Bianca, sente che l’apologia di Obama del piano saudita, la richiesta continua di avviarsi senza obiezioni alla soluzione “due Stati per due popoli” e i passi verso la Siria che non dà nessun segno di volersi staccare dall’Iran, certo si domanda se non le converrebbe trovare qualche nuovo amico. È iniziata una storia di nuovi patti che possono cambiare il mondo.

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