Tra Israele e Hamas ora è guerra di nervi

Sulla crisi riunione d’emergenza alle Nazioni Unite

Gian Micalessin

Ora bisogna capire chi mollerà per primo. Se Hamas e gli altri gruppi armati sfiancati da arresti, bombardamenti e incursioni o il governo di Ehud Olmert, logorato dalle pressioni nazionali e internazionali. Giusto ieri sera si è riunito d’urgenza il Consiglio di sicurezza dell’Onu per discutere della crisi. La macchina militare israeliana, bloccatasi al nord della Striscia per ordine del governo, ha colpito dal cielo, centrando almeno 30 obiettivi in 24 ore, uccidendo tre militanti e distruggendo con bombe e missili anche un palazzo del ministero degli Interni dell’Autorità palestinese. Ad aumentare le incognite della sempre più complessa partita, avviata dal rapimento del caporale 19enne Gilad Shalit e inasprita dalle retate di ministri e deputati che hanno decapitato il governo di Hamas, contribuiscono voci e rivendicazioni spesso difficili da verificare. Come quella, rivelatasi infondata, con cui le Brigate Martiri Al Aqsa s’attribuivano il rapimento di un altro soldato israeliano.
Continuano invece a ritmo martellante le incursioni aeree degli israeliani. Ieri pomeriggio tre palestinesi sono rimasti feriti durante un blitz dell’aviazione contro un’automobile intercettata mentre muoveva verso una zona nel settore settentrionale della Striscia utilizzata per effettuare il lancio di razzi Qassam. Alcune ore prima i cacciabombardieri israeliani erano scesi in picchiata sul palazzo del ministro degli Interni, colpendolo con bombe e missili e trasformandolo in un mare di fiamme. L’edificio, a dar retta a un comunicato dell’esercito israeliano, era stato trasformato in un covo per la pianificazione di atti terroristici. Nella notte, punteggiata da incursioni su campi d’addestramento, strade e uffici dell’Anp, i missili degli elicotteri hanno eliminato un militante della Jihad islamica sorpreso durante un altro tentato lancio di missili. Altri due militanti erano caduti a Nablus, in Cisgiordania, negli scontri seguiti all’arresto di un comandante delle Brigate Martiri Al Aqsa.
Nonostante l’incessante campagna israeliana Hamas non rinuncia al consueto tono di sfida e si dice pronto a continuare la lotta. «L’aggressione deve fermarsi per non rendere la situazione ancora più complessa», ha detto il premier Ismail Haniyeh, ricordando di stare negoziando con il presidente palestinese Abu Mazen e alcuni emissari egiziani un accordo per la liberazione del caporale Shalit che, giura la tv israeliana, «è vivo e le sue ferite sono state curate». Intorno a quel piano, alle mosse dei suoi protagonisti e alle sue possibili conseguenze s’interseca una ridda di voci e ipotesi. La più pungente è quella sollevata dal presidente egiziano Hosni Mubarak in un'intervista al quotidiano governativo Al Ahram, in cui «critica» il governo Olmert, colpevole di aver rifiutato il rilascio «condizionato» del caporale offerto da Hamas. Haniyeh, tornato in pubblico durante le celebrazioni per la preghiera del venerdì in una moschea di Gaza, ha confermato le trattative con l’Egitto. Secondo il quotidiano governativo siriano As Safir sul tavolo ci sarebbe un accordo per la liberazione di un buon numero di prigionieri palestinesi subito dopo la consegna agli egiziani del caporale. «Non fatevi ingannare, non esistono trattative per la liberazione del nostro soldato», ha subito smentito a nome del governo israeliano il ministro Meir Sheetrit. Ma i negoziati vengono indirettamente confermati dal portavoce della Casa Bianca Tony Snow che definisce incoraggianti il sostanziale stallo dell'offensiva israeliana e le dichiarazioni di Hamas sul possibile rilascio del soldato israeliano. Anche il blocco dell'offensiva nel nord della Striscia, ordinato giovedì dal primo ministro Ehud Olmert e dal ministro della Difesa Amir Peretz, sembra dovuto a esigenze diplomatiche e non, come si era detto, al dissenso tra vertici politici e militari sulle modalità d'attacco. Il blocco sarebbe servito a facilitare la missione a Gaza di Omar Suleiman, il capo dell'intelligence egiziana e braccio destro di Mubarak, responsabile di tutti i contatti con i gruppi armati palestinesi.
In attesa di decidere la sorte del prigioniero e indirettamente anche la propria, Haniyeh giura che neppure l'arresto di 8 ministri e di 23 parlamentari costringerà il suo governo a mollare il colpo.

«Questa guerra totale è la prova dell'esistenza di un piano premeditato, ma anche rapendo i nostri ministri non faranno cadere il governo, la nostra gente è paziente, possono arrestare o uccidere i nostri capi, ma nessuno ammainerà la nostra bandiera», ha promesso il premier del governo fondamentalista. Intanto Israele ha ufficialmente revocato la residenza a Gerusalemme di quattro fra ministri e parlamentari di Hamas. I quattro, già arrestati nel raid di giovedì, verranno, una volta liberati, espulsi in Cisgiordania.

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