Israele inizia il ritiro. Hamas accetta ma spara ancora

Il premier Olmert inizia il ritiro dell’esercito dalla Striscia: "Avverrà il prima possibile". I guerriglieri: avete 7 giorni, ora frontiere aperte 

Israele inizia il ritiro. Hamas accetta ma spara ancora

Hamas alla fine deve abbassare la testa, riconoscere la sconfitta, accettare il cessate il fuoco imposto dall’unico vincitore. La tentazione di imitare i più bravi cugini di Hezbollah è forte e loro ci provano fino all’ultimo. Lanciano una salva di dieci missili contro il sud d’Israele nella notte di sabato, ci riprovano con qualche altro colpo isolato domenica mattina mentre i megafoni delle moschee proclamano la vittoria del popolo palestinese. La Gaza del 18 gennaio 2009 non ha nulla a che vedere, però, con il Libano del 15 agosto 2006.

L’unica cosa in comune è la sofferenza dei civili, il mare di rovine. Questa volta, però c’è poco da cantar vittoria, nonostante le parole del capo del governo del movimento islamico di Hamas, Ismail Haniyeh («È una grande vittoria»). In Libano Tsahal si dissolse all’indomani del cessate il fuoco portandosi dietro un carico non indifferente di morti, a Gaza è presente ovunque, controlla i posti chiave della Striscia, annichilisce qualsiasi sporadico tentativo di dar ancora fiato alle armi e ai missili come dimostrano le incursioni di ieri mattina e l’uccisione di almeno un miliziano sorpreso a infrangere la tregua. Hamas, a differenza di Hezbollah nel 2006, è una milizia in rotta con la dirigenza eclissata nei nascondigli sotterranei, uno dei leader più importanti passato a miglior vita e i gangli della sua struttura militare scardinati da tre settimane di bombardamenti e dure battaglie.

Così nel pomeriggio dopo drammatiche laceranti discussioni con i colleghi nascosti nei bunker di Gaza i dirigenti in esilio a Damasco decidono di non dar più retta all’esortazione di Teheran, alzano bandiera bianca e annunciano una settimana di cessate il fuoco. «Noi della resistenza palestinese annunciamo un cessate il fuoco a Gaza, domandiamo che le forze nemiche si ritirino in una settimana e aprano tutti i valichi alla frontiera per permettere l’entrata degli aiuti umanitari e dei generi di prima necessità», dichiara Mussa Abu Marzuk, numero due dell’ufficio politico di Damasco. Israele non aspetta altro. In fondo non vede l’ora di ritirare le truppe da terreno e sottrarle ad eventuali attacchi a sorpresa.

Il premier Ehud Olmert conferma che Israele vuole lasciare la striscia «il prima possibile. Non abbiamo interesse – aggiunge – a stare nella Striscia». «Il ritorno della quiete e della sicurezza – spiega Andy David portavoce del ministero degli Esteri - è l’obiettivo per il quale le forze armate hanno lanciato l’operazione Piombo Fuso a Gaza. Se davvero ci sarà la quiete e cesserà il contrabbando d’armi, l’esercito si ritirerà progressivamente».

Così dopo il tramonto lunghe colonne di carri armati e blindati incominciano a ripiegare verso nord mentre alcune unità posizionate nei punti chiave della Striscia garantiscono la copertura all’operazione di ripiegamento e l’aviazione tiene nel mirino i punti usati per il lancio di missili su Israele. I soldati alzano le mani in segno di vittoria mentre i testimoni parlano di almeno una dozzina di carri già rientrati ai valichi di confine. Tra le postazioni abbandonate l’imbocco della via Salah el-Din, importante strada di accesso a Gaza City, e quella dell’ex colonia di Netzarim, a sud del capoluogo, utilizzata nelle ultime due settimane per tagliare i collegamenti tra la parte meridionale e settentrionale della Striscia. Mentre i portavoce militari confermano l’avvio del cosiddetto «ritiro progressivo» Israele si guarda bene dall’accettare il termine di una settimana dettato da Hamas. «Non è possibile parlare di un calendario di ritiro prima di aver verificato che il cessate il fuoco sia in grado di reggere, se Hamas tenterà di farlo saltare deliberatamente dovremo avviare nuove operazioni offensive e per questo non possiamo specificare i tempi di rientro delle truppe», spiega il portavoce del governo Mark Regev. Poco prima della «resa» di Hamas il premier Ehud Olmert parlava di cessate il fuoco «fragile» e avvertiva che Israele mantiene la facoltà «di rispondere qualora le organizzazioni terroristiche continuino gli attacchi».

Dalle macerie di Gaza emergono intanto gli orrori ancora non svelati delle tre settimane di guerra. In poche ore le squadre di soccorso e i civili usciti ieri mattina contano e raccolgono un centinaio di cadaveri disseminati tra le rovine. A questo punto il bilancio delle tre settimane di offensiva s’aggira intorno ai 1300 morti e ai 5000 feriti.

La lista delle vittime potrebbe, però, allungarsi perché sono molti secondo le fonti ospedaliere di Gaza, i pazienti in condizioni disperate. Per contribuire al soccorso dei civili Israele ha annunciato ieri l’apertura di un ospedale da campo presso il valico di Erez.

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