Gian Micalessin
Venerdì quattro, ieri uno solo. Ma i numeri contano poco. La verità è che la pioggia di missili Qassam non si ferma. Una pioggia sottile e insidiosa che per ora non uccide, ma potrebbe farlo presto. Giovedì quando uno dei quattro Qassam di giornata è esploso davanti a una mensa ferendo un colonnello e tre soldati cè mancato poco. Ormai gli ordigni lambiscono la città costiera di Ashkelon. Con un chilometro di gittata in più il centro sarà a tiro e la tragedia inevitabile.
Dunque Ariel Sharon deve decidere in fretta. Può ordinare di colpire con artiglieria e aviazione anche i centri abitati palestinesi. Può far staccare lelettricità a tutta la Striscia a ogni lancio di Qassam. Può far rioccupare le zone in cui operano le cellule della Jihad Islamica responsabili dellestenuante stillicidio. Scegliere non è facile. Missili e rappresaglie sintrecciano con gli scenari pre elettorali palestinesi ed israeliani. Unoperazione militare, dal punto di vista pratico, sarebbe loperazione più facile e pertinente. Si concluderebbe in pochi giorni e colpirebbe solo i militanti armati responsabili del lancio dei Qassam. Ma per Sharon rimandare lesercito dentro i confini di Gaza equivale ad ammettere che il ritiro è stato un errore, non ha contribuito alla sicurezza dIsraele e ne ha invece aumentato la vulnerabilità. Un ritorno a Gaza rischierebbe anche di bloccare il voto palestinese e innescare le dimissioni di un presidente Mahmoud Abbas accusato di troppa arrendevolezza verso il nemico. Paradossalmente per salvare se stesso e il «nemico Abbas» Sharon dovrebbe scegliere lopzione più ingrata dal punto di vista dellimmagine internazionale ordinando ai suoi generali di bombardare i centri abitati palestinesi o di togliere la corrente elettrica a tutta la Striscia. Le due opzioni soddisferebbero la voglia di rappresaglia della destra israeliana più irriducibile e compatterebbero lopinione pubblica palestinese regalando qualche mese di autonomia politica al presidente dellAnp. Grazie alla «cattiveria» israeliana e allaccordo con i giovani leoni di Fatah guidati dal carcere da Marwan Barghouti il traballante presidente potrebbe, alla fine, resistere allavanzata elettorale di Hamas. Ieri alti funzionari e ufficiali israeliani hanno illustrato i piani per un bombardamento dei centri abitati della Striscia. Piani che nelle parole del vice ministro della difesa Zeev Boim dovrebbero convincere i civili a non offrire copertura o nascondiglio ai militanti armati. «Dobbiamo far capire ai residenti di Beit Hanoun, Beit Lahia e Jabalia un solo messaggio: tra 12 ore le granate dartiglieria cadranno su questa zona abbandonatela. Penso che unoperazione di questo tipo possa risolvere il problema». Meno violenta, ma altrettanto dura la proposta del likudista Yuval Steinitz, presidente della commissione difesa della Knesset che propone il taglio dellenergia elettrica per unora in caso di semplice lancio dei Qassam e per una giornata in caso di feriti o vittime. Entrambe le misure molto probabilmente finirebbero solo con lincrementare i lanci, ma vengono giudicate il compromesso migliore dal punto di vista politico e le meno dannose per il nemico Abbas.
A mettere fretta a Sharon contribuiscono anche i sondaggi. Quelli pubblicati ieri da Maariv, pur garantendo al premier una percentuale di consensi pari al 46 per cento e il controllo di almeno 40 dei 120 seggi della Knesset, segnalano il risveglio del Likud e dellavversario Bibi Netanyahu. Bibi grazie ai consensi del 19 per cento degli israeliani è già al secondo posto. Il Likud che dopo laddio di Sharon sembrava doversi accontentare di dieci seggi contro gli attuali 40 è risalito a quota quindici.
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