Politica

Israele non allenta la morsa resta il blocco navale al Libano

Gian Micalessin

da Beirut

Ora il Libano deve scegliere tra la padella e la brace, tra il blocco aereo e marittimo imposto da Israele e quello terrestre promesso dalla Siria. Nella padella già c'è. Una padella disegnata dalle navi e dagli aerei israeliani che da 42 giorni bloccano ogni accesso per via aerea o marittima. Per uscire da quella trappola, per tornare a far funzionare i propri porti e lo scalo di Beirut, il governo di Fuad Siniora deve sperare in un veloce arrivo della forza internazionale. Solo lo schieramento dei caschi blu dell’Unifil 2 chiamati a far rispettare la risoluzione 1701 convincerà Israele a metter fine alla chiusura aerea e marittima. A chiarirlo ci ha pensato ieri il ministro degli Esteri israeliano, signora Tzipi Livni, dopo l'incontro ad Atene con il suo omologo greco signora Dora Bakoyannis.
«È ora che la Siria riconosca al Libano la possibilità di essere uno Stato indipendente e sovrano», ha detto la Livni commentando le minacce del presidente Bashir Assad di chiudere la frontiera se Beirut accetterà il dispiegamento di una forza internazionale e impedirà le forniture di armi a Hezbollah. «Israele toglierà il suo blocco soltanto quando la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell'Onu sarà applicata», ha specificato il portavoce Mark Regev, sottolineando che la risoluzione sulla sospensione dei combattimenti «prevede un embargo completo sul trasferimento delle armi di contrabbando a Hezbollah». La Livni e i suoi portavoce hanno insomma risposto con un secco «no» all'appello del presidente francese Jacques Chirac e del cancelliere tedesco Angela Merkel, che chiedevano la rimozione del blocco israeliano sul Libano.
La punizione siriana annunciata da Assad sembra intanto pronta a scattare ancor prima dell'arrivo dei caschi blu. Damasco ha annunciato ieri di voler sospendere immediatamente ogni fornitura di energia elettrica. L'autorità di Damasco responsabile per le forniture elettriche ha comunicato alla compagnia elettrica libanese Edl di non poter più garantire le normali forniture. «In seguito alle condizioni della nostra rete - spiegano le autorità siriane - vi informiamo di non essere più in grado di fornirvi energia elettrica e vi chiediamo di prendere le misure necessarie per la separazione delle due condutture».
L'azzeramento delle forniture, notevolmente aumentate dopo i danni provocati dagli attacchi israeliani rischia di mettere al buio il Paese e bloccare ogni attività produttiva. «L'energia elettrica in arrivo dalla Siria è fondamentale per sostenere i consumi libanesi, senza di esse sarà difficile garantire la distribuzione in tutto il paese», ha detto un funzionario della Edl.
Trasformati una volta di più nel vaso di coccio tra vasi di ferro i libanesi si chiedono se sia peggio rinunciare a benzina, elettricità, manodopera in transito dalla frontiera siriana o ai traffici marittimi e allo spazio aereo. Nell'attesa migliaia di libanesi fanno scorta di carburante e di ogni genere proveniente dal nord. «Agricoltori e industriali non possono né esportare i loro prodotti, né di importare le materie prime indispensabili per i prossimi mesi d'attività. Il settore dell'industria registra delle perdite quotidiane di 30 milioni di dollari mentre il settore agricolo intorno a 1,5 milioni», spiegava ieri il presidente della Camera di commercio di Beirut Ghazi Koreitam, aggiungendo che le perdite del settore turistico ammontino a circa due miliardi di dollari.
Il ministro della Difesa libanese Elias Murr ha intanto reso noto l'avvenuto sequestro di un deposito di armi e razzi di Hezbollah nel sud del Libano. Il ministro, conosciuto sia per i suoi trascorsi filosiriani sia per le sue dichiarazioni talvolta poco attendibili, ha fatto notare che il sequestro è avvenuto senza proteste nei giorni immediatamente successivi al dispiegamento dell'esercito a sud del Litani.

«Questo dimostra - ha detto - che Hezbollah si attiene strettamente alle direttive dell’Onute per la cessazione delle ostilità».

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