Israele offre un corridoio sicuro tra i due territori palestinesi

Il controllo del futuro passaggio tra Gaza e Cisgiordania sarà affidato all’Anp. Abu Mazen smentisce ma qualcosa si muove

Israele offre un corridoio sicuro tra i due territori palestinesi

Israele punta a indebolire ulteriormente le posizioni di Hamas a Gaza e in vista del summit sul Medio Oriente organizzato dagli Stati Uniti per il prossimo novembre sceglie una politica di nuove aperture. Pezzo forte delle proposte che il premier israeliano Ehud Olmert intenderebbe formulare, inserendola nella bozza degli accordi di principio, è l’offerta di un «corridoio sicuro» tra i due territori palestinesi di Gaza e Cisgiordania (che sono divisi da diverse decine di chilometri di territorio israeliano): questo corridoio verrebbe affidato al controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), anche se resterebbe sotto la sovranità di Israele. Il presidente dell’Anp Abu Mazen nega l’esistenza di canali segreti e degli «scenari apparsi su alcuni media israeliani», ma la sensazione è che importanti passi avanti vengano compiuti.
Il corridoio diverrebbe operante solo dopo che l’Anp, sotto la sua attuale dirigenza politica di Al Fatah, avrà ripreso il controllo della Striscia di Gaza, che si trova ora nelle mani di Hamas. Israele ritiene che i palestinesi attribuiscano più importanza a un corridoio di sicurezza che permetta i collegamenti tra i due territori che in futuro potranno costituire il loro Stato indipendente che non alla sovranità territoriale su di esso. E Olmert confida che l’aprirsi di questa concreta prospettiva porti a una crescita dei consensi tra i palestinesi per Abu Mazen (esponente di Al Fatah) e il premier da lui scelto, l’economista moderato Salam Fayyad, entrambi graditi a Washington.
Già adesso i sondaggi appaiono incoraggianti. Una rilevazione condotta da un istituto indipendente palestinese indica che il 47% dei palestinesi preferisce l’attuale governo filoccidentale di Fayyad a quello integralista islamico di Ismail Haniyeh, che piace solo al 24%; un altro 23% non ha espresso preferenze. Questo per quanto riguarda il gradimento dell’azione di governo, mentre il quesito relativo al sostegno ai partiti politici - e quindi alle intenzioni di voto - mostra un 34% per Al Fatah e un 21% per Hamas, quest’ultima in netto calo rispetto a un precedente sondaggio condotto in giugno. Quanto all’ipotesi di elezioni anticipate, sulla quale insiste Abu Mazen, il 57,4% del campione si dice favorevole, contro un 37,6% di contrari. Non manca infine un sondaggio su ipotetiche elezioni presidenziali, che apre prospettive incerte: Abu Mazen non supererebbe il 20%, il leader di Hamas Haniyeh arriverebbe al 18, mentre Marwan Barghouti, capo di Al Fatah in Cisgiordania in carcere in Israele dal 2002, spunterebbe un 16 per cento.
In questo contesto, che vede Hamas in calo di popolarità tra i palestinesi dopo il colpo di mano dello scorso giugno a Gaza, il leader islamico Khaled Meshaal non trova di meglio che accusare gli Stati Uniti e Israele di «gravi interferenze che rendono impossibile una riconciliazione con Al Fatah». Meshaal - che per evitare di finire ucciso dagli israeliani come i suoi predecessori risiede in Siria - rilancia la proposta di un governo di unità nazionale guidato dal presidente Abu Mazen, ma al tempo stesso afferma che quest’ultimo sarebbe stato minacciato di ritorsioni da parte israeliana in caso di colloqui con Hamas.
Il movimento estremista islamico rimane intanto nel mirino delle forze armate di Gerusalemme.

Intensi scontri a fuoco sono avvenuti all’alba di ieri dopo un’incursione di un commando israeliano nella Striscia di Gaza «per prevenire attività terroristiche» (lancio di razzi verso le città israeliane vicino al confine), e si contano cinque feriti e dieci arresti tra i miliziani di Hamas.

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