Israele, Sharon abbandona il Likud Andrà alle elezioni con una sua lista

La decisione segue l’uscita dei laburisti dal governo. Il 28 marzo forse il voto

Il giorno delle elezioni anticipate non è stato ancora fissato, anche se ormai tutti scommettono su un accordo tra laburisti e Likud sulla data del 28 marzo prossimo. In compenso le grandi manovre sono già iniziate. Il comitato centrale laburista ratifica la richiesta di uscita dall’esecutivo voluta dal nuovo leader Amir Peretz. Poche ore dopo Ariel Sharon decide di lasciare il Likud. I suoi avversari interni si preparano per la lotta di successione. E un clima di grande incertezza politica agita anche l’altra parte della barricata. Nei territori palestinesi il presidente Mahmoud Abbas, alle prese con le divisioni interne di Fatah, medita di rinviare nuovamente le elezioni parlamentari già spostate da luglio al 25 gennaio prossimo. E a moltiplicare i suoi problemi contribuisce anche il probabile addio al governo del ministro delle Finanze Salam Fayad, l’unico in grado di avviare le riforme del sistema con l’appoggio e la fiducia della Casa Bianca.
In questo oceano politico in subbuglio i fari restano puntati su Ariel Sharon. La sua decisione arriva in serata: la riferiscono fonti del partito alla radio militare. Il premier lascia il Likud e parteciperà alle prossime elezioni con una propria lista. Contestualmente andrà già oggi dal presidente della Repubblica Katsav per chiedergli di sciogliere il Parlamento e avviare il processo di elezioni anticipate. Sharon resta comunque l’ago della bilancia: abbandonando il Likud dando vita a un nuovo gruppo politico di centro sovverte lo scenario politico israeliano, ma conferma la volontà di procedere sulla strada della road map, di proseguire il ritiro dai territori occupati e permettere la nascita di uno Stato palestinese.
Durante lo Shabbàth di meditazione nel suo ranch il premier aveva spiegato ai fedelissimi di poter restare solo se i ribelli avessero sottoscritto la sua visione politica. «Loro - ha detto Sharon - mi vogliono bloccare mentre io voglio continuare sulla mia strada». Sabato sera, dunque, gli uomini del premier parlavano di un Arik con un piede già fuori dal partito. E ieri quasi tutti scommettevano sull’inevitabile addio. A confermarlo ha contribuito la riunione dei parlamentari del Likud fedeli a Sharon, una quindicina, convocata su ordine del premier dal ministro della Giustizia signora Tzipi Livni per discutere la formazione del nuovo gruppo politico. La signora Livni avrebbe confermato che Sharon intende abbandonare perché considera estremamente difficile superare gli ostacoli interni al Likud.
Un altro segnale dell’imminente abbandono era contenuto nel saluto indirizzato al vice premier Shimon Peres dopo la riunione dell’esecutivo di ieri mattina. «Grazie per il lavoro nel governo. Questo è solo l’inizio di una missione comune», gli ha detto Sharon prospettando un’imminente riunione alla testa di un nuovo partito di centro. E altre voci provenienti dall’entourage del premier confermano il completamento delle procedure di registrazione della nuova formazione.
Questo garbuglio di indiscrezioni spinge allo scoperto i pretendenti al trono. Mentre l’appoggio dei ribelli al tradizionale rivale Benjamin Netaniahu si fa sempre più incerto, si fanno avanti il ministro della Difesa Shaul Mofaz, il ministro degli Esteri Sylvan Shalom e il ministro dell’Agricoltura Yisrael Katz. La pattuglia di autorevoli pretendenti sembra azzerare le possibilità del parlamentare Uzi Landau, capofila dell’estrema destra del partito.
In questo clima da fine di un’era il comitato centrale laburista ha ratificato con larga maggioranza l’uscita dal governo proposta dal suo nuovo leader.

Parlando ai suoi uomini, Peretz ha confermato la volontà di puntare tutto sull’aspetto sociale per strappare al Likud il tradizionale elettorato proveniente dai ceti più poveri dell’elettorato sefardita e della nuova immigrazione.
Il voto della Knesset per lo scioglimento del governo previsto per oggi sembra intanto rimandato a mercoledì a causa di problemi procedurali frapposti da alcune formazioni minori.
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