Israele, spari alla frontiera: uccisi due ufficiali egiziani

I militari del Cairo avrebbero attaccato una postazione dell’esercito di Gerusalemme

Nicola Greco

Il pugno di soldati asserragliato nello sperduto avamposto del Negev non ha molto tempo per riflettere. Prima quelle tre figure emerse dal nulla sulla linea del confine egiziano. Subito dopo il crepitare secco dei kalashnikov e i tre uomini armati all’attacco della posizione. Non è una grande battaglia. Le raffiche sputate dai mitragliatori dei due armati in corsa si perdono nel cielo, alle spalle della postazione. Quelle del terzo uomo che li copre non sono molto più precise. Ma in pochi secondi i due attaccanti sono cadaveri raggomitolati tra le dune del Negev. La sorpresa arriva più tardi quando, messo in sicurezza tutto il territorio attorno al confine, gli israeliani escono ad esaminare i corpi delle loro vittime. I due non vestono né la divisa di un gruppo palestinese, né abiti civili. Portano invece l’uniforme e i gradi degli ufficiali egiziani. Il ministro della Difesa israeliano Amir Peretz ordina ai generali di coordinare un’inchiesta congiunta con le forze armate egiziane, gli imbarazzati vertici militari e politici del Cairo si limitano a sostenere che i soldati potrebbero aver aperto il fuoco su ufficiali impegnati a ispezionare la linea di confine.
Il sospetto più inquietante, al di là d’inchieste ufficiali e smentite è però un altro. Quei tre ufficiali pronti ad un assalto suicida sulla linea di confine potrebbero essere infiltrati di Al Qaida o di qualche altra formazione jihadista. Se così fosse la situazione sarebbe assolutamente allarmante. Fino ad oggi i servizi di sicurezza egiziani hanno sempre attribuito a piccoli gruppi di beduini legati alle formazioni integraliste le stragi terroriste che hanno colpito il Sinai negli ultimi due anni. La capacità dei jihadisti di controllare interi gruppi di ufficiali all’interno delle forze armate renderebbe molto più precaria la situazione del regime di Mubarak e aumenterebbe il rischio d’infiltrazioni terroristiche in Israele. Per ora le forze di sicurezza egiziane si trincerano dietro il silenzio. Gli israeliani si limitano a far notare che la presenza di ufficiali in quel remoto angolo di deserto è assai rara e fanno intendere che il terzetto può esser arrivato fin lì solo per tentare l’assalto all’avamposto.
Sul fronte di Gaza lo scontro tra Fatah e il governo di Hamas si fa intanto sempre più duro. Mentre la guardia presidenziale fedele ad Abu Mazen si prepara ad assumere il pieno controllo del valico di Rafah il presidente annuncia da Tunisi, dove partecipa al comitato centrale di Fatah, d’esser pronto ad ordinare il referendum sul cosiddetto piano delle carceri. Il piano - messo a punto dal leader di Fatah Marwan Barghouti d’intesa con alcuni deputati di Hamas in prigione - prevede l’implicito riconoscimento d’Israele attraverso l’approvazione del progetto dei due Stati.
«Non ho bisogno della ratifica del Parlamento – ha detto Abu Mazen - perché in questo momento ci sono 160mila palestinesi che non hanno più né da bere, né da mangiare a causa delle posizioni assunte dal governo di Hamas». Il primo ministro Ismail Haniyeh ha invece promesso il pagamento di una parte dei salari da parte delle banche entro la prossima domenica. Secondo il premier i bonifici degli stipendi fino a 1.500 shekels mensili, e anticipi equivalenti per i salari più alti, avverranno tra oggi e domani.

I soldi utilizzati per gli anticipi dovrebbero provenire dalla raccolta delle tasse interne effettuata da Hamas. Ma non basteranno sicuramente a saldare tutti gli arretrati di 165mila dipendenti senza stipendio da ormai quattro mesi.

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