Israele sventa grande attentato di Hezbollah

Ieri sparati sull’alta Galilea dai miliziani ben 250 razzi: mai tanti finora

Gian Micalessin

da Kiryat Shmona

Che vigilia. Il confine è una coltre nera. Incendi, esplosioni, il rombo sordo delle katiusce scuote le vallate, si abbatte su vie, case, palazzi. Kiryat Shmona trema, inghiotte quell’inferno di missili, patisce la millesima esplosione in un mese di guerra. Si sopravvive aggrappati alla frontiera sotto la gragnuola dei razzi, il fragore dell’artiglieria, le notizie di morte e sangue. L’uomo del kibbutz ti afferra, ti stringe. «Tu cosa dici, tu lo sai, finirà?». Allarghi le braccia. Lui guarda lassù, scuote la testa. Un fragore nuovo. Da qualche parte dietro le case volano i missili terra-terra israeliani. Una, due, tre, cinque staffilate da far rabbrividire, l’aria che si squarcia, un fruscio feroce fin lassù, oltre il confine, i cinque terremoti tra le basi dei guerriglieri. Tra la crosta della terra e il cemento dei bunker.
Qui, sul nord d’Israele, piovono 250 missili in dodici ore: mai così tanti. Forse l’ultimo sussulto della guerra. Là, sotto la frontiera, la morsa d’Israele si stringe, dilaga con duemila uomini dal fiume Litani, sale con oltre 25mila dal sud. Ma quanto sangue, quanta fatica, quanto dolore. Michael Oren, lo storico soldato, ha la guerra disegnata nelle rughe del volto, nelle palpebre arrossate, nel passo estenuato da una notte insonne. Una notte d’orrore trascorsa a raccogliere i resti dei commilitoni ventenni.
«Si combatteva appena oltre il confine - racconta il 52enne in divisa da maggiore - i soldati arrivavano combattendo, o scaricavano i feriti tornavano alla battaglia». L’incendio è ovunque. Tsahal getta sul terreno tutta la sua potenza, cerca di farsi largo nel pantano libanese, di conquistare posizioni, di ritagliarsi spazi fino all’ultimo secondo di guerra.
E in serata gli aerei israeliani lanciano volantini sui quartieri meridionali di Beirut invitando gli abitanti ad abbandonare subito le loro case, lasciando presagire nuovi imminenti raid. Poco dopo Israele annuncia di essere riuscito a sventare un attentato di «grandi dimensioni» organizzato da Hezbollah, abbattendo due drone carichi di esplosivo diretti verso lo Stato ebraico, uno su Tiro e l’altro in Galilea. Si teme che a bordo vi fossero cariche di esplosivo.
Torna anche il cadavere di Uri, il figlio dello scrittore David Grossman. Il maggiore Michael, lo storico soldato, lo sa dalla mattina. Pensa a David, suo vicino di casa, a cosa gli racconterà quando si rivedranno come ogni mattina a Gerusalemme, quando lo reincontrerà per un buongiorno di pace. Se ci sarà la pace. Perché finora piove guerra. Piove morte qui sul confine. Sono tornati in 24. Morti dilaniati dai missili anticarro, fatti a pezzi dalle granate, inceneriti dal rogo della loro benzina. Ventiquattro vite, il prezzo del penultimo giorno di guerra, della corsa al Litani. E non sono tutti. La censura ha in serbo altri nomi di altre giovani vite spezzate. Sette nuovi morti, ripetono senza certezze le televisioni arabe. La censura israeliana a tarda sera conferma cinque caduti, tre ufficiali e due soldati. Altre lacrime e sangue per questa piccola nazione.
Dall’altra parte non va meglio. Non hanno volto, non hanno nome, non hanno famiglie riunite ai funerali, ma muoiono anche loro. Muoiono anche di più sotto la tormenta dell’artiglieria, delle bombe d’aereo, dei cannoni di marina. Poi ci sono i caduti fantasma di Hezbollah. Un centinaio, forse di più, in due giorni di combattimenti. Eppure le difese da qui al Litani non cedono, non s’incrinano. I bunker resistono, la guerriglia fa capolino, s’insinua tra le fila della falange israeliana, scava nuovi vuoti. E le katiusce bersagliano il nord del Paese. Muore un altro arabo israeliano, un 82enne cristiano. I feriti ebrei, cristiani, musulmani sono una novantina, forse di più.
La paura al tramonto avvolge di nuovo Haifa. Tre missili di fabbricazione siriana sulle abitazioni di Carmiel, il quartiere in cima alla città. Camion e case in fiamme. Nuovo terrore. Come a Beirut, come a Tiro, dove le bombe squassano il centro abitato alla ricerca dei comandi di Hezbollah, alla caccia dei missili nascosti tra le case. Nella capitale libanese undici edifici si trasformano in rovine, seppelliscono per sempre due bimbi. Il maglio di Israele si abbatte su almeno 50 fra villaggi e città, spazza via otto vite nel sud del Libano, sette nella valle della Bekaa.

Una casa piegatasi sotto i colpi dei missili nel sud potrebbe aver sepolto altre 15 persone, ma il bilancio nella notte resta incerto. Come la tregua, come la pace. Come la vita su questa soglia di frontiera ai margini della guerra. Prima di un’alba di moderata, trepida, angosciata speranza.

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