nostro inviato a Istanbul
«Felice di essere turco», diceva Kemal Atatürk, il fondatore dellattuale Turchia, laica e nazionalista. «Felice di essere musulmano, maledetta Italia», ha urlato ieri il 25enne Ibrahim Ak, prima di sparare tre colpi in aria di fronte al Consolato italiano di Istanbul. Poi ha buttato la pistola (una Beretta 6,76) nel giardino della nostra rappresentanza diplomatica. Era solo, non aveva complici. I carabinieri e gli agenti turchi di guardia lo hanno fermato e consegnato alla polizia.
In commissariato confesserà di aver voluto «protestare contro la visita del Papa», che inizierà il 28 novembre. E ha giustificato il suo gesto con frasi che fanno rabbrividire: «Se potessi, lo ammazzerei con le mie mani. La mia speranza è che dopo quello che ho fatto oggi anche altri protestino». Unistigazione alla violenza. A imitare Ali Agca, che cercò di uccidere Giovanni Paolo II. Il viaggio del Papa è sempre più a rischio, ma il Vaticano lo conferma, minimizzando laccaduto. «Mi sembra che ci siano già stati alcuni fatti simili, sono da considerare assolutamente marginali e minoritari, confidiamo che il viaggio in Turchia si svolga con totale serenità e andiamo avanti in questo senso», ha detto padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana. Insomma, il programma non cambia.
Nessuno ieri è rimasto ferito, ma poteva andare molto peggio. Difficile non pensare alluccisione di Padre Santoro o allepisodio avvenuto pochi mesi fa, quando un integralista ha fatto irruzione in unaula di tribunale ammazzando un giudice e ferendo altre tre persone. Ieri alle 16.45, lambasciatore italiano Carlo Marsili era di fronte alla nostra sede consolare. «Mi trovavo a non più di dieci metri dal cancello quando la polizia di guardia ha fermato la nostra auto. Ho visto il giovane estrarre la pistola e sparare tre colpi in aria», dichiara. «Urlava frasi sconnesse. Non capisco perché abbia compiuto questo gesto, visto che Italia e Turchia hanno rapporti eccellenti».
Eppure il perché è facilmente intuibile. Verosimilmente, il 26enne Ibrahim Ak, non sapeva che il Vaticano è uno Stato a tutti gli effetti. Sapeva solo che il Papa vive a Roma e ha pensato che, per minacciarlo, occorresse attaccare il nostro consolato. Nella speranza che qualcuno fra tre settimane osi di più, quando il Papa sarà ad Ankara, poi a Efeso e infine a Istanbul.
Un viaggio così pericoloso da indurre i servizi turchi a prevedere le stesse misure di sicurezza adottate in occasione della visita di Bush. Ora forse anche più severe. Di certo questo Paese non lo ama. Tanto forte era la simpatia per Wojtyla, quanta radicata è la diffidenza per Ratzinger, anche da parte della Turchia laica e nazionalista, che continua a essere maggioritaria nel Paese. Unostilità che non ha motivi religiosi, ma politici: qui tutti ricordano che, quando era ancora cardinale, il futuro Pontefice si espresse contro ladesione di Istanbul allUnione Europea. E il rancore non è svanito.
Di natura confessionale sono invece le critiche dellattuale esecutivo, retto dal Partito islamico moderato Giustizia e libertà. Ad attaccare per primo il Papa e a pretendere le scuse in occasione del suo discorso a Ratisbona fu infatti il gran Muftì turco, di nomina governativa, Ali Bardakoglu, presidente del Direttorato per gli affari religiosi. A lui si associò subito anche, unico fra i capi di governo islamici, il premier Tayyip Erdogan. Da allora il Pontefice ha adottato una linea molto conciliante nei confronti dellIslam e della Turchia in particolare; dimostrandolo qualche ore prima della sparatoria al Consolato, quando ha accettato di buon grado il mancato incontro con lo stesso Erdogan che sarà impegnato al vertice della Nato a Riga, proprio mentre il Papa soggiornerà ad Ankara, e dunque non potrà riceverlo. A onor del vero anche il portavoce del primo ministro si è mostrato conciliante. «Non è uno sgarbo», ha affermato assicurando che il Vaticano era al corrente da tempo della concomitanza. Il Pontefice, e lo si è saputo solo ieri, sarà comunque ricevuto dal ministro degli Esteri Gul.
Non altrettanto distensive sono le dichiarazioni del Gran Muftì. «Accettare di confrontarsi non equivale ad approvare tutti i passi intrapresi dallaltra parte», ha dichiarato a Istanbul durante una conferenza stampa al termine di un incontro con alcuni leader musulmani africani.
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