«Gli istituti italiani i più prudenti»

Le banche italiane sono più prudenti, meno dinamiche ma escono a testa alta dallo studio di R&S Mediobanca sulle banche internazionali, presentato ieri e teso ad approfondire le problematiche e le contraddizioni emerse nell’anno della Grande crisi. Vincono la classifica degli utili, mostrano di aver imboccato la via della ripresa e il «costo» pubblico per il loro sostegno è stato meno pesante che altrove.
Lo studio messo a punto dagli economisti di Piazzetta Cuccia ha preso in considerazione un campione di 66 banche, di cui 31 in Europa, 18 in Giappone e 17 negli Stati Uniti. In termini di totale attivo la rappresentatività è del 60% per l’Europa occidentale e Giappone, dell’80% per gli Usa.
Se le banche italiane sono tra le più prudenti a livello globale, le più redditizie sono quelle cinesi che nel 2007 hanno evidenziato un utile per azione del 17,8%, ovvero su livelli più elevati sia dell’Europa (15,7%) che degli Stati Uniti (9,8%). Dall’analisi sul sistema italiano del credito emerge invece la prudenza (solo Unicredit e Intesa Sanpaolo sono nel campione della ricerca) dei nostri istituti: il 2008 è stato archiviato con utili netti pari al 14,6% del fatturato, contro il meno 6% delle maggiori banche europee. Quanto alle perdite su crediti in Italia si attestano al 13,4% contro il 23,6% del settore europeo.
Va comunque ricordato che a livello europeo nei primi tre mesi del 2009 le banche hanno comunque recuperato terreno: a fine 2008 avevano registrato 11,8 miliardi di perdite, mentre a fine marzo sono tornate in utile (in media 6,1 miliardi). Lo stesso vale per gli Usa, passati da un rosso di 20,7 miliardi di dollari a 12 miliardi di utile. I piani di salvataggio delle banche negli Usa sono stati sinora 700 (702 per l’esattezza) rispetto ai 45 casi registrati in Europa. Tuttavia, il saldo finale (comprensivo di interventi diretti e garanzie) si mostra più caro nel Vecchio Continente, dove l’impegno complessivo è stimato fino a 1.100 miliardi di euro contro i 561 miliardi d’Oltreoceano (totale di 1.600 miliardi di euro). Nella stessa fattispecie dei salvataggi rientrano poi i casi di ingresso pubblico nel capitale. E all’amministrazione statunitense questi interventi sono costati complessivamente circa 34 miliardi in più rispetto ai Paesi dell’Unione europea: i fondi pubblici affluiti nelle casse delle principali banche europee sono ammontati a 52 miliardi di euro, a fronte degli 86,2 miliardi versati dal governo Usa (119 miliardi di dollari).


Secondo R&S Mediobanca, infine, gli indici patrimoniali adottati da Basilea II appaiono «inadeguati», e «fuorvianti»: si sono infatti viste banche (come Ubs, Dresdner e Royal Bank of Scotland) dover essere soccorse dallo Stato nonostante coefficienti al di sopra del minimo regolamentare (l’8%). In alternativa, suggeriscono in R&S, potrebbe essere preso in considerazione il rapporto tra passività e capitale netto o quello dato dal «free capital» sulla provvista.

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