«Grand Marshal italiana o croata?» è il provocatorio titolo apparso su un lungo articolo pubblicato da America Oggi, il più rappresentativo giornale della nostra comunità negli Stati Uniti. La Grand Marshal non è una nuova nomina al Pentagono, ma la celebrità di spiccate origini italiane che apre ogni anno la famosa parata di New York in occasione del Columbus day. In passato la reginetta è stata Sofia Loren, oppure lonore di rappresentare gli italiani dAmerica è ricaduto su Luciano Pavarotti. Lunedì scorso sulla Quinta Avenue la parata è stata aperta da Lidia Bastianich Matticchio, una famosa ristoratrice negli Stati Uniti, che oggi esalta le sue origini italiane.
Dino Veggian, un esule istriano, che ha pubblicato il lungo articolo sul personaggio, ha invece raccontato unaltra storia: quando Lidia, nata Motika nel 1946 a Pola, propendeva per le sue origini croate, parteggiava per il nazionalismo e minimizzava la presenza italiana in Istria. La Grand Marshal delle polemiche si è fatta fotografare alla vigilia della parata in un scintillante vestito rosso, spalla a spalla con il ministro della Giustizia Clemente Mastella.
LArena di Pola, uno dei giornali degli esuli istriani costretti a lasciare le loro terre dalla violenza dei partigiani di Tito, pubblicherà larticolo critico sulla Grand Marshal nelledizione di fine ottobre. «Questa gente si ricorda di essere italiana solo quando conviene. Lo fa anche la comunità dei rimasti oltre confine (gli italiani in Slovenia e Croazia, nda). La storia non cambia purtroppo», è la stilettata dellex generale Silvio Mazzaroli, sindaco del libero comune di Pola in esilio, dove è nata la Bastianich. La signora, oggi, è una star della cucina italiana negli Usa con un programma gastronomico in tv seguito da 4 milioni di telespettatori. Limpero culinario di Lidia Bastianich comprende anche unazienda vinicola in Friuli-Venezia Giulia, libri di ricette e turismo gastronomico con un migliaio di dipendenti.
Nellarticolo pruriginoso pubblicato da America Oggi si legge, però, che «prima di dedicarsi ai tour enogastronomici in Italia, la sua agenzia di viaggi era impegnata nel turismo di ritorno alle radici della componente etnica croata dell'Istria». La Bastianich frequentava lIstria Sports Club del Queens, quartiere dove è concentrata la comunità istro croata di New York. «Ai tempi del presidente Franjo Tudjman era stata allestita una mostra di quadri con vedute delle piazze principali di cittadine e villaggi istriani. La mostra era stata un pugno nello stomaco per la comunità newyorkese degli esuli italiani dellIstria, i quali infatti protestarono per quell'iniziativa considerata un insulto», scrive Veggian su America Oggi. Nella sede del contestato club la Bastianich rilasciò, assieme ad alcuni adulatori, unintervista al New York Times in cui ne disse di tutti i colori. «Tito aveva permesso a centinaia di migliaia di istriani di ritornare in Italia come profughi», aveva sostenuto la Lidia in versione croata, come se fosse stata una passeggiata non costellata da foibe e negando praticamente che la popolazione italiana era autoctona. La Bastianich spiega al giornalista americano che «la località istriana di Albona ha una stragrande maggioranza di abitanti croati» e Veggian fa notare che oggi è così, ma «non si fa cenno alle migliaia di abitanti italiani espulsi da quel territorio, che avevano costruito la cittadina e per secoli ne avevano scritto la storia».
In realtà il giornalista del New York Times deve aver capito lantifona e nellarticolo racconta che il menù del club «era scritto solo in croato e l'acqua minerale servita al pubblico era importata dalla Croazia. Neanche traccia della San Pellegrino presente in ogni ristorante italoamericano».
Curiosa anche la storia del cognome della signora Lidia. Sotto il fascismo, quello croato originario, Motika, era stato cambiato in Matticchio. Poi nel 1946, con lavvento al potere di Tito in Jugoslavia, torna Motika. La sua famiglia lascia comunque Pola per raggiungere Trieste e nel 1958 sbarca negli Stati Uniti dove inizia una carriera culinaria strepitosa.
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