«In Italia la metà dei software è illegale»

«Nelle piccole e medie imprese l’80 per cento dei programmi è copiato. E il nostro settore perde 1,5 miliardi di dollari all’anno»

Antonio Signorini

da Roma

In Italia un programma per computer su due è copiato. Siamo in testa alla classifica europea della pirateria informatica, più vicini ai livelli dell’Asia che a quelli del Vecchio continente. Il tutto soprattutto per colpa della piccola impresa dove si copia software «nel 75-80 per cento dei casi». A ricordarlo è il vicepresidente del gruppo Microsoft Umberto Paolocci, che - alla vigilia della Giornata Mondiale della Proprietà Intellettuale - stima anche quanto perde ogni anno il colosso di Seattle per colpa dei pirati italiani: 600 milioni di dollari. «Ma il problema non è questo. Facciamo comunque profitti», scherza l’unico italiano nel board della società di Bill Gates.
Allora cosa è che la preoccupa?
«Che come emerge dal recente studio della Business Software Alliance l’Italia, anziché andare nella direzione giusta, si va in quella sbagliata, visto che il tasso di illegalità è salito dal 49 al 50 per cento, mentre la media europea è scesa al 35 per cento e quella degli Stati uniti addirittura al 21 per cento. Siamo agli ultimi posti anche rispetto ai paesi dell’est europeo che sono più poveri di noi».
Quanto fatturato avete perso?
«Lo studio parla di 1,5 miliardi di dollari di fatturato in tutto il settore. Il nostro fatturato è di 600 milioni all’anno quindi, visto il tasso di illegalità, il calcolo è facile: perdiamo 600 milioni. Però ripeto il problema non è questo, è che evidentemente non è arrivato chiaro messaggio ai piccoli imprenditori sul valore della tecnologia dell’informazione. Continuano ad esserci pochi computer e sui pochi computer il software non è aggiornato o non è legittimo. Pensano ancora che il software sia un’area sulla quale minimizzare i costi e ignorano le ricerche che mettono in stretta relazione la crescita e l’uso delle tecnologie».
Di chi sono le responsabilità?
«Di tanti. C’è un tessuto imprenditoriale che fatica a capire il valore dell’investimento nelle tecnologie e poi anche un elemento dovuto alla capacità del nostro settore di parlare agli imprenditori. Poi c’è il problema della distribuzione. Bisogna lavorare molto sull’informazione. Noi abbiamo fatto un’iniziativa chiamata “Bussola impresa” che si occupa di informare le aziende sugli incentivi per questo tipo di investimento».
E gli incentivi messi in campo dall’Italia sono sufficienti?
«Il fatto è che l’incentivo pubblico non è mai la prima ragione di un investimento».
È vero che in Cina, dove i falsi raggiungono il 90 per cento, Microsoft chiude un occhio pur di conquistare il mercato?
«Noi non possiamo applicare leggi che non ci sono e non ci fa certo piacere che il nostro software venga copiato. Il problema cinese resta grave, ma noi continuiamo a investire in Cina, anche in ricerca».
Cosa servirebbe per ridurre la pirateria in Italia?
«Noi chiediamo all’Italia che faccia quello che è stato fatto in altri Paesi come Taiwan, dove la pirateria in due anni è calata del 50 per cento. Serve comunicazione.

E poi bisogna che le forze dell’ordine e la magistratura facciano il loro lavoro con più intensità. Il problema è chiaro visto che il tasso di illegalità nella piccola impresa è del 75-80 per cento e nella grande è praticamente a zero».

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