Prepariamoci: nel 2012 saremo ripiombati in recessione. Un segno meno accanto al Pil, altri problemi di gettito per il governo, minori consumi. Forse altre manovre correttive. Un quadro fosco, soprattutto se l’Italia non sarà uscita dalla crisi del debito che l’attanaglia. L’Ocse ha messo ieri nero su biancoquanto nei giorni scorsi aveva già ventilato l’agenzia Fitch, rivedendo al ribasso le previsioni per il prossimo anno: da una crescita dell’1,6%stimata in maggio,a una contrazione di mezzo punto percentuale. Identica sorte, una sforbiciata netta, è toccata all’outlook di quest’anno, sceso dal +1,5% di primavera a un asfittico +0,7%.
La stessa agenzia ha anche confermato il rating tripla A al debito Usa ma ha rivisto al ribasso l’outlook: prospettive «negative». Il male italiano è il male poco oscuro dell’eurozona, destinata a finire l’anno prossimo in stagnazione (+ 0,2% nel 2012), ma è anche il sintomo di una sofferenza complessiva che costringerà gli Usa (+2%) e perfino la Cina (+8,5%) a rallentare.
Il pressing di Washington («L’Ue agisca rapidamente, i contribuenti americani non pagheranno la sua crisi», è stato il richiamo pronunciato ieri da Obama; «ci aspettiamo dagli Usa azioni di consolidamento fiscale nel breve termine », la risposta europea) e Pechino su Eurolandia affinché trovi la soluzione capace di spazzare via le ipotesi di default, nasce proprio dalle ripercussioni che la crisi del debito sta creando a livello globale. Una simulazionedell’Ocse ha infatti calcolato che in caso di bancarotta sovrana, la zona euro si ritroverebbe «in profonda recessione», l’America e il Giappone finirebbero in recessione e anche i Paesi emergenti dovrebbero fare i conti con il crollo del commercio internazionale (-9,5% su 2 anni).
Un disastro per tutti, amplificato dal collasso delle Borse (-40%), da un’esplosione pari a 350 punti degli spread di Italia, Spagna e Belgio che perdurerebbe per un paio di anni, mentre il Pil di Eurolandia, Usa e Giappone subirebbe una contrazione del 2%. Uno scenario da Armageddon economico. Però ignorato ieri dai mercati che hanno inanellato rialzi su rialzi, compresi tra il 4,60% di Milano (con le banche in grande spolvero), Francoforte e Madrid e il 5,5% di Parigi. Bene anche Londra (+2,9%) e Wall Street (+2,5% a un’ora dalla chiusura).
Le Borse hanno anche snobbato la duplice smentita, arrivata dal Fondo monetario internazionale e dalla Commissione Ue, sull’esistenza di un piano di aiuti da 600 miliardi riservati all’Italia, mentre il Btp Day, promosso dall’Abi, ha portato a un’attenuzione delle tensioni sui nostri titoli di Stato. In mattinata, sui Btp a 2 anni i rendimenti avevano toccato l’8,12%, per poi cadere in serata al 7 ,4 %, quasi 100 punti base in meno. La reazione dei mercati si spiega con un semplice motivo: attraverso il proprio portavoce, la Cancelliera Angela Merkel ha confermato di essere al lavoro con la Francia per una riforma dei Trattati Ue. Inoltre, alla fine di novembre, il fondo salva-Stati Efsf sarà in grado di utilizzare la sua capacità «in modo ottimale».
I mercati stanno insomma scommettendo sulla possibilità che l’asse Parigi-Berlino riesca a implementare uno schema accelerato simile a quello usato sugli accordi di Schengen. Una manovra del genere potrebbe preludere a interventi calmieranti più forti della Bce sul settore dei titoli di Stato. È quanto peraltro auspicato dal capo economista dell’Ocse, Pier Carlo Padoan, che sostiene la necessità di«rapidi e credibili miglioramenti nella capacità dell’Efsf, insieme a un maggior uso del bilancio della Bce». Anche gli eurobond sono considerati da Padoan «strumento efficace per stabilizzare il mercato», anche se vanno «accompagnati da una maggiore integrazione europea».
A Eurolandia non è rimasto molto tempo a disposizione per mettere ordine in casa. Oggi si riuniranno i ministri finanziari (un battesimo del fuoco per Mario Monti), ma una prima svolta potrebbe arrivare nel vertice del 9 dicembre dei capi di Stato. La partita non sembra tanto giocarsi sul terreno dell’Efsf, il firewall anti-crisi (l’eurozona lavora su un effetto leva non superiore a 3-4 volte l’ammontare dei prestiti residui, pari oggi a 250 miliardi), quanto piuttosto su regole più stringenti in materia di conti pubblici, con sanzioni automatiche per chi sgarra. Controlli più serrati potrebbero spianare la strada al rafforzamento dei poteri della Bce, sia per quanto riguarda l’acquisto di bond, sia per la stabilizzazione dei mercati.
È evidente che la revisione dei Trattati obbligherà i governi a mantenere dritta la barra dei bilanci.
Al nuovo governo,l’Ocse chiede infatti di «applicare pienamente»le misure varate dal precedente esecutivo per il pareggio nel 2013, oltre ad avviare subito «importanti riforme strutturali per la crescita », a partire dagli impegni presi dal governo Berlusconi nella lettera d’intenti a Bruxelles.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.