In Italia si fuma di meno E i bar hanno più clienti

Dopo i divieti, il 9,6% dei cittadini passa più tempo nei locali pubblici

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Emiliano Farina

Sorridono baristi e ristoratori, piangono i tabaccai. L'assioma racconta un viaggio nel cambiamento delle abitudini degli italiani iniziato il dieci gennaio 2005, giorno dell'entrata in vigore della legge antifumo. Dopo quasi cinque mesi e in concomitanza con la giornata mondiale senza tabacco, è stato l'istituto di ricerche Doxa a trasformare in certezze quelle che all'inizio erano soltanto sensazioni. Infatti, secondo la ricerca presentata ieri dall'Istituto superiore di Sanità in collaborazione con la Lega tumori, per effetto della legge introdotta dall'ex ministro Sirchia, quasi un italiano su dieci si reca più spesso di prima nel suo locale preferito. Una graduale inversione di tendenza che va di pari passo con le lacrime dei tabaccai: oggi gli italiani che fumano (poco più di dodici milioni e mezzo) sono 500mila in meno rispetto a un anno e mezzo fa, con un calo delle vendite di sigarette di 101mila tonnellate nel 2003 e 99mila nel 2004 pari a quasi 137 milioni di pacchetti da venti pezzi.
Il 25,6 per cento colpiti dal vizio della bionda sono ultra quindicenni con un 29,3 per cento di uomini e un 22,1 per cento di donne. Dividendoli per aree geografiche, i fumatori sono più concentrati al Nord (26 per cento) e nelle Isole (25,8) che al Centro (23,4). Ognuno di loro accende mediamente 14 sigarette al giorno e spende 16 euro a settimana. «Il quadro è migliore di quello degli anno scorsi», spiega il presidente della Doxa, Ennio Salamon, «la diminuzione è superiore tra gli uomini ma anche le donne: dopo i picchi del 1990 e 2003 stanno iniziando a seguire la stessa strada».
Tra i dati presentati, c'è un unico neo e ha caratteristiche tutte italiane. Se per l'87 per cento degli intervistati il divieto viene rispettato nei locali pubblici, lo stesso non avviene sui luoghi di lavoro. A pensarla così è poco meno del 70 per cento. Insomma, c'è ancora molto da fare.
Risultati più che positivi che l'ex ministro, Girolamo Sirchia, commenta complimentandosi per la partecipazione con cui la popolazione ha preso coscienza dei problemi di salute legati al fumo. E invita il suo successore (Francesco Storace) a impegnarsi per aiutare i fumatori pentiti e, soprattutto «a proteggere i giovanissimi dalla tentazione di accendere la prima sigaretta».
Dunque l'Italia si ritrova con mezzo milione di fumatori in meno: ma perché? Il 41,5 per cento di loro lo ha fatto per motivi di salute, il 29,4 per una maggiore consapevolezza dei danni, il 9,6 per non essere schiavo di un vizio, il 6 per imposizione, il 4,9 per un costo eccessivo e il 3,5 per i divieti. Se da una parte spaventa l'idea di ammalarsi di tumore, dall'altra le frasi sui pacchetti di sigarette non sembrano aver riscosso molto successo. Secondo la ricerca, soltanto il 12 per cento degli intervistati ha dichiarato di aver ridotto i consumi grazie ai messaggi. La frase di maggior presa è risultata, seguita da «il fumo provoca cancro mortale ai polmoni» e «il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno».
Un ultimo avvertimento alle donne.

Secondo l'epidemiologo dell'istituto milanese Mario Negri, Carlo La Vecchia, con 16mila morti previsti nel 2010 e quasi 21mila nel 2020, senza opportune misure di controllo sul tabagismo saranno proprio loro a suggellare il picco massimo di mortalità. E l'assioma cambierà: sorridono gli uomini, piangono le donne.

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