Due uomini curvi, affranti, due pensionati sconosciuti l’uno all’altro. Eppure così vicini, uniti. Quanto può accomunare la tragedia. Uno era partito da Verona, l’altro da Ravenna. Ieri pomeriggio si sono trovati all’aeroporto di Bergamo, entrambi scortati dalla polizia, e sono saliti sullo stesso aereo. Destinazione Sal, la dolce isola delle vacanze.
Per loro, il viaggio più triste della vita. Renzo Busato e Giulio Saiani, i visi gonfi di chi non dorme da notti, sono partiti per riportare a casa le loro «bambine grandi». Avevano la luce negli occhi quelle ragazze, il sorriso di chi è felice l’ultima volta che si erano detti «ciao. Ci vediamo presto». Giorgia e Dalia, 28 e 33 anni, in Italia torneranno mercoledì o giovedi. Coi papà a seguire le loro bare. Giorgia e Dalia hanno salutato la vita nel modo più orrendo possibile in una sera calda e dolce di Capo Verde. Massacrate, forse violentate, orrendamente uccise per un niente. Gli assassini, due ragazzi dell’isola, uno ex fidanzato della bionda campionessa di windsurf, hanno confessato. «Movente passionale», ribadisce Luigi Zirpoli, console onorario d’Italia. Sandro Santus do Rosario, creolo non ancora venticinqueenne, non si rassegnava alla sua storia finita. Era ormai trascorso più di un anno, ma lui, guida turistica su quest’isola brulla, colorata dal mare e spazzata dal vento, Dalia, quella ragazza che volava sulle onde non riusciva proprio a dimenticarla. Meglio morta che di qualcun altro. Così con un complice (di cui la polizia non ha ancora rivelato l’identità) ha preparato la trappola omicida. Avevano scavato la buca dove seppellire le loro vittime il giorno prima, poi con la scusa di una cena le hanno attirate verso la morte. Massacrandole a colpi di bastone e pietre. «Delitto premeditato» spiega Oscar Tavares, capo della polizia locale. Hanno cercato anche di procurarsi un alibi gli assassini: dopo la mattanza si sono fatti notare nella discoteca Ojo d’aguà, a Santa Maria, verso le 4 del mattino di venerdì. I volti sereni, l’aria scanzonata di chi non teme nulla. La stupida spalvaderia di chi non sa di aver commesso un errore. Grave per un omicida. Aver lasciato in vita un testimone. Già Agnese, 17 anni, la più piccola della comitiva, l’italiana sopravvissuta. Sandro era convinto di aver ucciso anche lei a pietrate. Ma l’aveva soltanto ferita. E più tardi la ragazza avrebbe raccontato tutto alla polizia. Ieri è stata dimessa dall’ospedale con una vistosa benda in testa, c’erano papà e mamma ad abbracciarla, tenendola forte forte come si fa quando si capisce cosa si è rischiato di perdere. Agnese, invece, dovrà far di tutto per perdere qualcosa: la memoria di tanto orrore.
I particolari di questo delitto, che polverizza la paradisiaca immagine dell’arcipelago verde, sono raccapriccianti. I volti delle due ragazze erano sfigurati e «su uno dei corpi, pare quello di Dalia - ammette Antonio Trinchese, primo segretario dell’'ambasciata italiana a Dakar inviato a Sal -, ci sono segni che sia stata sepolta viva. Nei polmoni sono state trovate tracce di terra». Non è chiaro, invece se vi sia stato stupro sulle vittime. Il console onorario a Capo Verde Luigi Zirpoli chiarisce: «L’autopsia ha rivelato tracce di sperma ma queste non sono sufficienti per dimostrare lo stupro. Potrebbero essere vecchie».
«Oggi - prosegue il diplomatico - cominceremo le procedure con la documentazione e per mercoledì o giovedì dovremmo essere in grado di farle rientrare in Italia».
Sul fronte delle indagini un ultimo particolare, che tuttavia non cambia lo scenario di questa storia truce: il terzo capoverdiano arrestato è stato rimesso in libertà. Lui aveva un alibi di ferro. E nessun movente.
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