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Jalil alla Nato: «Niente caschi blu» E dà l’ultimatum ai lealisti di Sirte

LomèGheddafi non è più nelle condizioni di ottenere un qualsiasi indulto nel suo Paese deponendo le pistole sui tavoli di un nuovo potere politico o, addirittura, giudiziario. Ed è così che andare oltre frontiera, per non essere internazionalmente ricercato, è un rischio che per il colonnello vale la candela. C'è chi lo vede nello Zimbabwe, ospite di Robert Mugabe, chi in Algeria, dove in realtà potrebbe fare scalo per raggiungere altri lidi, ma in realtà il Muammar vanta qualche salvacondotto nel cuore dell'Africa nera.
A Lomé, la capitale baraccopoli del Togo, Gheddafi ha fatto edificare all'incirca sette anni fa una villa con tanto di moschea. Ci ha soggiornato un paio di volte in tutto, ma ora quella dimora bistrattata, che sorge però nei pressi dell'Oceano a due passi dagli alberghi internazionali, potrebbe davvero diventare una sorta di esilio più forzato che dorato. Per le strade di Lomé, soprattutto nei quartieri musulmani di Agoe-Nyive e Avédji, ogni tanto il nome del Colonnello salta fuori, pronunciato come una sorta di mantra. «L'ospite illustre» sembra quasi atteso da un momento all'altro, come se il suo arrivo avesse il potere taumaturgico di risanare una nazione al collasso, regalandole un'improvvisa e provvidenziale notorietà. Persino nel colorato regno delle Nana Benz, le corpulente signore togolesi delle stoffe che vendono abiti e si occupano anche del noleggio di auto a due passi dal porto di Lomé, il nome del dittatore libico assume un certo fascino.
Al di là delle convergenze legate all'islam nero, che nel cuore dell'Africa si sta ampliando a macchia d'olio da un decennio, Gheddafi vanta una solida amicizia con il presidente della repubblica togolese Faure Gnassingbé.
In carica dal 2005, e figlio di Eyadéma, che ottenne l'indipendenza dai francesi nel 1960, Faure è accusato dalle opposizioni di aver truccato i risultati elettorali del marzo del 2010. Jean-Pierre Fabre, candidato presidente sconfitto, è tra i più convinti dell'arrivo di Gheddafi. «È una non-notizia - afferma con amarezza - un po' come i nostri risultati elettorali, che sono noti in anticipo, prima ancora che l'elettore metta la scheda nell'urna. Se soggiorna qui da noi verrà accolto con tutti gli onori del caso». Gnassingbé invece parla con orgoglio del Colonnello: «Lo accoglieremo a braccia aperte. Non è mia intenzione entrare nel merito delle questioni di casa sua, ma per il Togo ha fatto molto».
L'odio transalpino è un punto di contatto tra il Muammar e l'establishment del Togo. Senza dimenticare gli investimenti libici a Lomé: alcuni edifici ministeriali sono stati progettati dagli architetti di Gheddafi. Il Togo riscuoteva fino a pochi mesi fa dall'alleato maghrebino petrolio e in cambio riforniva i libici di fosfati. Ora potrebbe davvero ricevere il Colonnello in carne ed ossa.
Il paradosso è che nell'Africa Nera si sta davvero sgomitando per ospitarlo. Se non altro per saldare un debito di gratitudine. Negli anni infatti la Libia ha attuato una politica estera turbolenta sostenendo militarmente, attraverso il fiume di denaro proveniente dal petrolio, le rivoluzioni contro l'imperialismo occidentale. Gheddafi si è messo di traverso ai francesi in Ciad, Burkina Faso e Costa d'Avorio, agli inglesi nello Zimbabwe, in Ghana e in Uganda. Senza dimenticare i supporti incondizionati a dittatori come Idi Amin Dada in Uganda, Bokassa nella Repubblica Centrafricana o Menghistu in Etiopia. A Kampala, capitale ugandese, hanno persino dedicato una moschea al Colonnello. Un'altra residenza dell'ex leader libico si trova a Treichville, quartiere popolare di Abidjan, in Costa d'Avorio: difficile però che vi possa soggiornare senza l'appoggio di Laurent Gbagbo, deposto dal nuovo presidente Alassane Ouattara con l'aiuto delle forze speciali francesi lo scorso 10 aprile. Rimane sempre Blaise Compaoré, presidentissimo del Burkina Faso.

La casa degli ospiti a Ziniaré, 30 km dalla capitale Ouagadougou, non è occupata in questo momento da nessuno.

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