Il Jamaica compie cent'anni e brinda con le foto di Mulas

In mostra nello storico locale di Brera gli scatti in bianco e nero del grande fotografo

Il Jamaica compie cent'anni e brinda con le foto di Mulas

Dal dopoguerra fino ai primi anni ’70 Milano e l'arte hanno vissuto un periodo magico e irripetibile, selvaggio e creativo, ricco di talenti squattrinati e fertili avanguardie. Dove la fatica del vivere, i sogni (anche quelli di seconda mano) e la bellezza, vera o presunta, dell'arte, si mescolavano freneticamente al crescere impetuoso della città.
In quel panorama di progetti umani e architettonici spiccava il Jamaica, a Brera, storico locale che quest'anno compie un secolo. Bar degli artisti e dei fiaschi di barbera, delle bottiglie di liquori che sfilavano in parata dietro al vecchio bancone, delle interminabili partite a carte e delle estemporanee mostre di quadri. Vecchio porto di mare sempre pronto a far credito ai corsari dell'arte. Bar, anche, degli sfaccendati che, gambe appoggiate sui tavolini, cavalcavano un tempo a trazione ridotta, ma rapidi nel fare e disfare il mondo e ad accordarsi su tutto ciò che metteva in disaccordo con lo stesso. Ma a quei tavolinetti di metallo di Mamma Lina c'era anche chi il mondo (dell'arte) riusciva a farlo e a disfarlo davvero. «Ero seduto al bar con il critico Alberto Lucia e il collega Mario Bionda - raccontava anni fa il pittore Rino Carrara - quando arriva Piero Canzoni e dice: . “Allora Alberto disse subito: se è vero te li compro a peso d'oro. Piero andò a prendere l'opera e noi comprammo il Corriere per sapere le quotazioni del metallo. Quegli escrementi valevano trentamila lire"».
Il Jamaica non aveva certo l'eleganza e gli spazi di altri famosi caffè milanesi come il Savini o il Cova o il vecchio Craja. Anzi, con le sue piastrelle, le bottiglie alle pareti e il brusio degli avventori sembrava ancora la vecchia osteria che si chiamava Bottiglieria e fiaschetteria Ponte di Brera. Era a un passo dalle acque del Naviglio, dal «tombone» di San Marco, ed era frequentata spesso dagli uomini che guidavano barconi in sosta nel bacino. Lo spaccio era limitato al mezzo litro. I proprietari, coniugi Mainini, però a poco a poco seppero saggiamente voltar le spalle al Naviglio e aprire le porte alla vicina Accademia di Brera e agli artisti in genere. Nel dopoguerra il Jamaica costituì ben presto un punto d'incontro degli intellettuali milanesi e di tutti coloro che a Milano approdavano in cerca di fortuna e di gloria (e di soldi). Impossibile fare un elenco di quanti lo hanno frequentato: da Birolli a Crippa, da Dova a Treccani, da Recalcati a Carrara, da Manzoni a Fontana, da Quasimodo a Montale, da Bianciardi a Buzzati, da Cavaliere a Kodra, da Tadini a Testori oltre ad Hemingway, Sarte e Simone de Beauvoir.
Oggi dei fiaschi si è persa quasi la memoria, come si è perso il ricordo di certe serate passate in compagnia di sole parole, che spesso sbocciavano in leggenda. Come quella che vuole Mussolini primo cliente celebre del Jamaica. Arrivava a mattino inoltrato, spianava il Popolo d'Italia sul tavolino e ordinava con tono deciso un cappuccino e due broche. Una mattina dell'ottobre 1922 sparì all'improvviso senza pagare, si pensa per impegni urgenti. Primo cliente celebre, dunque, e anche capofila di altrettanti celebri debiti.
«Il Jamaica era una presenza viva e rassicurante - raccontava il pittore Mario Rossello a metà anni ’80 -, a qualunque ora vi andassi avevo sempre la certezza di incontrare un amico, senza bisogno di appuntamento. Fraternizzai subito con Manzoni, Dova, Tadini, ma incontrai anche scrittori, giornalisti e fotografi destinati a diventare celebri, come Ugo Mulas». E saranno proprio le fotografie di Mulas - in un vernissage questo pomeriggio alle 18.

30 in via Brera 32 - a far respirare ancora quell'aria da ultima Scapigliatura milanese che ha distinto questo storico locale, sempre coordinato e seguito in cent'anni da una stessa famiglia». Le foto di Mulas saranno poi esposte dal 18 aprile al 23 maggio, dalle 10 del mattino alle 2 di notte.

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