Cinque anni dopo lultima visita, Praga è una città sempre più ricca ed europea. Ma alle 13 il cronista ha un appuntamento con lingegner Jiri Dolejs, vicepresidente del Partito comunista, presso il quartier generale a due passi da piazza Venceslao. Ed è un tuffo nel passato. Edificio semibuio un po lasciato andare, alternanza di look molto alternativi a quelli grigio-burocratici, linglese una lingua sconosciuta. Il quarantenne Dolejs riceve con linterprete.
Conferma che il Partito comunista di Cekia e Moravia non intende rinnegare quanto fatto nei 41 anni di potere perché non si possono voltare le spalle alla lotta di classe voluta da Marx; solo dietro insistenza, spiega che durante il «potere comunista» la corretta visione marxista è stata «male interpretata». Non era necessario impedire agli altri partiti la libera azione politica. Ma oggi siamo consapevoli di vivere in un clima diverso, assicura, pensiamo che il pluralismo sia una cosa giusta. Qualche difficoltà quando si fa notare che a tuttoggi nello statuto dellorganizzazione dei giovani comunisti cechi luso della violenza rivoluzionaria è messo per iscritto. Sì, ma linea del partito è pluralista, taglia corto Dolejs.
Provo a chiedere cosa vuole il Pc ceco. Una politica sociale - risponde - nella consapevolezza che le differenze di classe sono una realtà. Sanità, lavoro e istruzione per tutti, come cera prima, ma senza gli «errori» del passato. E a livello internazionale? Via dalla Nato, dominata dagli imperialisti americani, e sì a un sistema di difesa europeo che abbia la pace come priorità.
Lingegnere è affabile e molto rodato nel non facile esercizio di nascondere levidente contraddizione tra la difesa del passato regime autoritario, che i dissidenti li metteva in galera, e lattuale linea «pluralista». Cerco allora di stanarlo col gioco della torre: chi butta giù tra Lenin e Stalin? Deglutisce, poi salva Lenin: «Molto meglio». Breznev o Gorbaciov? «Molto rispetto per Breznev, ma solo per la linea marxista», mentre Gorbaciov «certamente fece ciò che fece perché subiva pressioni». Dubcek (il leader comunista della Primavera di Praga del 1968) o Husak (il compagno di partito che «normalizzò» la Cecoslovacchia dopo lintervento dei carri armati sovietici)? Qui Dolejs evita di esprimere preferenze, ma dice che Dubcek (che affiancò brevemente Havel alla presidenza nel 1990) ha per loro un valore non politico, ma solo di simbolo morale.
Lultima: Jan Palach (lo studente ventenne che nel 1969 si immolò col fuoco a Praga per protesta antisovietica) o Che Guevara? Dolejs sorride a fatica: Palach - sillaba - agì per istinto emozionale, senza vera consapevolezza politica: era troppo giovane e immaturo. Il Che, invece, fu politico esperto e se fosse vivo oggi avrebbe un ruolo di primo piano. Grazie per la sincerità, compagno Dolejs: ora la riconosciamo.
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