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"Il jazz deve fare i conti con la tecnologia. Il più grande? Miles"

Dopo il Covid, a 83 anni, il trombettista italiano a gennaio tornerà a suonare con Fred Hersch

"Il jazz deve fare i conti con la tecnologia. Il più grande? Miles"

Ha superato di slancio gli 80 anni suonando sui palcoscenici di mezzo mondo e incidendo due splendidi album per la prestigiosa ECM, Edizione speciale con la band e l'intenso The Song Is You in coppia col pianista Fred Hersch. Enrico Rava è senz'altro il più dotato e il più noto jazzman a livello internazionale. Ora è reduce dalla polmonite, ha dovuto annullare tre concerti con Hersch ma è già pronto a riprogrammarli. «Li faremo a gennaio - dice sereno -. Ci conosciamo da un anno eppure sembra che si lavori insieme da sempre».

Il segreto?

«Il 90, se non il 95 per cento viene dall'improvvisazione. A parte le nostre composizioni, prendiamo brani storici, come Round Midnight di Monk per trasformarli in qualcosa di diverso. C'è una grande alchimia tra noi e si crea tanta magia e molte sorprese. Amo sorprendere ed essere sorpreso dalla musica».

Utilizza molto il flicorno.

«Negli ultimi 4-5 anni sì, ma ora torno alla tromba, mi sto esercitando e voglio comporre dei nuovi brani. Il flicorno ha un suono più scuro ma la differenza tra i due strumenti è minima. La sente di più il musicista. In Miles Ahead Miles Davis ha suonato il flicorno ma pochi se ne sono accorti».

Miles, uno dei suoi idoli.

«Miles è stato il più grande di tutti; la sua drammaturgia è qualcosa che resterà nella storia. Io lo ascoltai a Torino con Lester Young nel '56 (a quel concerto eccezionale parteciparono anche Bud Powell e il Modern Jazz Quartet) e pochi giorni dopo comprai la mia prima tromba. Le sue versioni di My Funny Valentine e Stella by Starlight sono tra le cose più belle di sempre».

E Chet Baker?

«La bellezza pura del suono. Peccato che l'eroina lo abbia distrutto. Si bucava ovunque. Io l'ho conosciuto da ragazzino perché quando veniva a Torino veniva sempre a casa di Franco Mondini, un giovane batterista amico mio. Chet era impressionante. Una sera salì sul palco fatto come pochi altri ma poi, come per magia, i suoni della sua tromba uscirono puliti e meravigliosi come sempre. Era incredibile. Suonava sempre come se dovesse essere l'ultima volta, dava tutto quello che aveva dentro e questo differenzia il buon musicista dall'artista».

E i pionieri della tromba jazz come Louis Armstrong?

«Grande musica da New Orleans, anche se abbiamo perso testimonianze importanti come quella di Buddy Bolden che non ha mai registrato nulla. Bisogna riscoprire questi artisti, anche Bix Beiderbeck, e pensare che io tengo dei corsi a Siena Jazz e ci sono giovani che non li hanno nemmeno sentiti nominare».

Il jazz oggi com'è?

«C'è una valanga di ottimi artisti anche in Italia. Purtroppo il Covid ha bloccato un po' tutto, E poi bisogna fare i conti con la tecnologia. Nel web puoi comprare anche una sola canzone e spariscono i negozi di dischi. Speriamo che le case discografiche non smettano di credere nel disco. Io credo di avere perso 1 quinto di quanto vendevo prima ma non mi lamento».

Lei conosce bene la storia del jazz.

«Sì, così piena di rivoluzioni. Da New Orleans alla Swing Era era una musica da ballo e le ragazzine impazzivano letteralmente per Benny Goodman. Alla fine degli anni Quaranta arrivò il cosiddetto West Coast Jazz o jazz californiano e spopolavano giganti come Shorty Rogers, oggi completamente dimenticati. E poi le rivoluzioni».

Cioè?

«All'inizio degli anni '40 il bebop fu una vera rivoluzione, cambiò tutta la filosofia del jazz e poi arrivarono quelli come Ornette Coleman e il Free Jazz. Coloro che volevano ballare cambiarono genere. Per questo poi arrivò Elvis».

Lei ha sollevato polemiche quando ha detto che Michael Jackson era uno dei grandi artisti del '900.

«Lo ha detto anche Ennio Morricone.

Alcuni jazzofili tendono a considerare il rock una musica minore ma non è vero e lo dimostrano artisti come i Queen, Paul Simon, la coppia Lennon-McCartney».

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